01/08/2013 di Redazione

Settore finanziario, il pioniere dei Grandi Dati

Fra i settori industriali e del terziario, sono i servizi finanziari ad aver già abbracciato con convinzione le opportunità dei Big Data: secondo un’indagine di Ibm e dell’Università di Oxford, li sfruttano oltre il 71% delle compagnie. Ma i punti deboli

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La cautela, e in certi casi lo scetticismo o la scarsa conoscenza che ancora circondano i Big Data non sono un problema per chi opera nel mondo della finanza. In questo settore, infatti, l’entusiasmo nei confronti delle tante possibilità offerte dalla buona gestione e analisi dei dati è evidente: secondo un’indagine di Ibm e dell’Università di Oxford, attualmente oltre il 71% delle compagnie di servizi finanziari sfrutta in qualche modo di Big Data. E la percentuale è destinata, probabilmente a salire, poiché soltanto due anni fa si era fermi al 36%.

Ne ha parlato, in un articolo pubblicato su Forbes (di cui vi riportiamo la traduzione) , Likhit Wagle, global industry leader for banking and financial markets di Ibm.




Moltissime compagnie stanno ancora guardando ai Big Data con curiosità, ma non quelle di servizi finanziari. Un gigantesco 71% di questo settore sta già sfruttando i Big Data e gli analytics, con un balzo rispetto al 36% di soli due anni fa, a detta di un sondaggio svolto dall’Università di Oxford e dall’ Institute of Business Value di Ibm.

La ragione è semplice. I Big Data apportano un vantaggio competitivo che è disperatamente necessario per un settore che sta ancora lottando, dopo la crisi finanziaria mondiale, per recuperare i vecchi margini di profitto. I taglio dei costi e i tradizionali modelli di business non sono in grado, da soli,  di realizzare tutto questo.

E dunque le banche e le società di servizi finanziari si stanno rivolgendo ai Big Data, utilizzando gli insight che vengono estratti dalle transazioni quotidiane, dall’andamento dei mercati, dalle operazioni dei clienti, dai dati di localizzazione e dal flusso dei click, con l’obiettivo di creare nuovi modelli di business e servizi, trasformando il proprio approccio al mercato. Allo stesso tempo, capire come ricavare il massimo dai Big Data è ancora una sfida. La nostra indagine ha individuato quattro aree principali che le società di servizi finanziari dovranno affrontare.

I customer analytics trainano i progetti di Big Data

Tra gli intervistati, il 55% circa degli impiegati nel settore finanziario ha individuato i progetti incentrati sul cliente come priorità più importante. Oggi il focus dell’industria sono i clienti, e non più i prodotti. Ed è per questo che i dati sui clienti devono diventare il principio organizzativo intorno ai quali ruotano le operazioni, le tecnologie e i sistemi. Sfruttare i Big Data – e non i focus group o l’intuizione – per anticipare al meglio i cambiamenti nelle condizioni di mercato e nelle preferenze degli utenti permetterà alle aziende di offrire quel genere di servizio personalizzato che può creare domanda e rafforzare la fedeltà dei clienti.

Per esempio, ANZ Banking Group sta lanciando un “assistente digitale” che i gestori di banche regionali potranno usare per setacciare ogni frammento di informazione in loro possesso su un cliente, sui loro stessi servizi e sui trend di mercato attuali. Così potranno offrire consulenze più intelligenti, rapide e personalizzati per i loro oltre due milioni di clienti di servizi di wealth management.

Grandi dati significano grande integrazione

Le aziende, semplicemente, non possono trarre il massimo valore dai Big Data senza mettere in campo o integrare fra loro dei sistemi capaci di maneggiar il volume, la varietà e la velocità crescenti dei dati, e che possano condividerli all’interno dell’organizzazione. Eppure, fra quelle intervistate, solo il 53% delle compagnie che operano nel settore bancario e nei mercati finanziari ha già integrato i suoi sistemi informativi, e questo fa dell’integrazione un elemento di chiaro vantaggio competitivo.

I dati interni sono una miniera d’oro

Oltre la metà delle società di servizi finanziari intervistate hanno affermato che i dati interni sono la prima fonte di Big Data che intendono scandagliare nei loro nuovi progetti, sottolineando come si sia una miniera di informazioni non ancora messe sotto controllo confinata nei propri sistemi interni. Il 92% circa sta passando al vaglio i dati delle transazioni, e l’81% sta facendo l’analisi sintattica dei dati di log e o di informazioni scritte nei registri ma mai finora analizzate.

L’indagine ha tuttavia evidenziato come il settore della finanzia stia rimanendo indietro, rispetto ad altri, nello sfruttare altri tipi di dati che potrebbero essere usati per generare vantaggio competitivo. Per esempio, soltanto il 21% delle aziende intervistate attualmente analizza i dati audio, come quelli generati all’interno dei call center, e solo il 27% vaglia quelli relativi ai social media.

Analytics forti: il perno dei Big Data
I Big Data non significano niente senza potenti strumenti di analytics e senza le competenze in grado di trarne valore. Va detto che il settore finanziario è rimasto indietro, rispetto ad altri, nella capacità di analizzare tipologie cruciali di dati non strutturati – derivanti da social media, streaming, video e contenuti audio – che rappresentano una buona fetta dei Big Data. Per esempio, soltanto il 18% è in grado di analizzare testi come i report del servizio clienti. E questo è un vero problema, dal momento che l’hardware e i software di analytics stanno maturando, mentre c’è carenza di abilità richieste per utilizzarli.

Oggi, forse non esiste altro settore di business meglio posizionato per trarre profitto dai Big Data rispetto a quello dei servizi finanziari. Se comprendono quali sono i gap da colmare, queste aziende potranno dettare il passo anche per gli altri settori dell’economia.


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