15/06/2015 di Redazione

Sirmi: il canale non scappi di fronte alla digital disruption

Alla XIV edizione di ICT Trade, evento organizzato dalla società di consulenza e di ricerche di mercato, l’invito rivolto al canale è quello di cavalcare il nuovo che avanza, per andare incontro all’evoluzione delle esigenze dei clienti e non rischiare di

immagine.jpg

Ict Trade in versione milanese. Il tradizionale incontro tra le terze parti e i propri fornitori vendor e distributori di riferimento, organizzato da Sirmi, quest’anno in in occasione della sua XIV edizione rompe con la tradizione che l’ha sempre collocata a Ferrara, optando per un appuntamento milanese, il secondo nella sua storia, affiancata a Ict Club, l’emanazione dell’evento strettamente riservato agli utenti finali.

La ricetta è quella supercollaudata che prevede la presenza di fornitori dell’Ict, sia vendor sia distributori, che una volta tanto non espongono prodotti, ma strategie di sviluppo di business, con l’obiettivo di coinvolgere il canale a cogliere insieme le opportunità che il mercato offre, ea  definire congiuntamente le direzioni da intraprendere per potere risolvere le esigenze di trasformazione delle aziende.

Una trasformazione per la quale Maurizio Cuzari, amministratore delegato di Sirmi, identifica il colpevole o il fautore in quella “digital disruption” che ha voluto essere il leitmotiv di Ict Trade 2015 e di cui si sono voluti analizzare cause ed effetti.  “I numeri del mercato sono in diminuzione”, esordisce Cuzari, “e si prevede per il 2015 un -1,4%, in linea con l’economia debole che caratterizza il Paese, ma migliore rispetto al 2014, quando il calo è stato del 3%. Del resto non si può andare avanti senza rinnovare le tecnologie almeno ogni cinque anni, un invecchiamento cui contribuisce anche l’evoluzione dei sistemi operativi, sia sul mondo dei client sia dei server”.

 

Maurizio Cuzari dal palco dell'Ict Trade

 

“Anche il software si comprime”, prosegue l’amministratore delegato”, non tanto per la minore vendita di licenze quanto soprattutto per il passaggio progressivo dall’on-premise al cloud, che stira i ricavi su tempi più lunghi rispetto alla vendita classica”.

L’area che invece pare stia crescendo significativamente è quella relativa ai servizi gestiti, soprattutto quella che fa riferimento al mondo del cloud computing, che sale in media del 20,9% all’anno e lo farà anche per i prossimi tre anni, comprendendo al suo interno i servizi di cloud infrastrutturale e di quello applicativo. “Con il risultato”, sottolinea Cuzari, “che il cloud infrastrutturale è in competizione con il mercato hardware, mentre quella SaaS lo è con il software, fatto di licenze, manutenzioni e aggiornamenti”.
 

“Il cloud sta dimostrando di essere una sorta di ‘anticalcare 2.0’ dell’It”, ironizza Cuzari. "Il primo di questi ‘anticalcare’ era stata la virtualizzazione, che ha fatto accorgere i clienti di potere aumentare l’utilizzo dei propri server e delle loro performance di circa il 50%. Il passato successivo è, appunto, il cloud computing, che spesso interviene allo scadere di alcune tecnologie, portando una cultura dell’as a service in azienda”.

In linea generale, alcune aree dell'It tradizionale soffrono, ma a vantaggio di altre per cui si generano nuovi investimenti. Detto per sommi capi: si risparmia sull’Erp e sul gestionale e si pagano di meno le personalizzazioni, le manutenzioni e le nuove implementazioni, mentre forti investimenti si hanno nelle aree della mobility, dei social, della Unified Communication and Collaboration. In definitiva, perde chi rimane ancorato a delle posizioni tradizionali, mentre performa chi riesce a orientarsi a componenti innovative.

“Se si continua a fare quello che si sa fare, anche se lo si fa bene, si rimane quello che si è e ci non si evolve”, ammonisce Cuzari. “I tempi e il mercato richiedono invece che si impari a fare cose nuove per potere uscire dal mondo indistinto dell’offerta. Se inizialmente l’It è nato per velocizzare operazioni ripetitive, col tempo è diventato uno strumento per dare vantaggi competitivi rispetto alla concorrenza, e oggi sempre più i clienti ci chiedono di avere soluzioni per ottimizzare, velocizzare e incrementare il proprio business. Tutto ciò sta portando a un mondo in cui l’attenzione sta passando sempre più dalle organizzazioni alle persone, con gli utenti che vogliono gestire in autonomia le soluzioni, servendosi di app o servizi gratuiti su Web, con il risultato di aumentare in maniera significativa la digital disruption”.

Grandi nomi ormai ampiamente noti, tra le app e i nuovi sistemi di distribuzione software, fino a una decina di anni fa non esistevano neppure, oppure sono emanazioni di aziende che facevano cose totalmente diverse. E oggi sempre più stanno cambiando il modo di ottenere servizi, sia in ambito personale sia aziendale. “Questa è la disruption: ossia fare in modo diverso cose che si sono fatte in un certo modo fino a oggi, oppure competere con aziende che continuano a perpetrare modelli tecnologici invariati”, continua il patron di Sirmi.  “Le aziende di telecomunicazioni hanno dovuto cedere il business dei messaggi istantanti e degli Mms alle app digitali, e così sono cambiati i modi di acquistare libri, organizzare viaggi, i trasporti urbani e non, e i Pc shop”.

I "digital disruptor" non si devono confondere con gli innovatori di processo, non agendo sull’ottimizzazione dei processi esistenti, ma consentendo di fare cose in maniera totalmente diversa che in passato. A questo si aggiunge poi il tema della sharing economy, la cui affermazione ha dato vita ad aziende quali Airbnb e Uber, che fanno concorrenza alle tradizionali strutture ricettive e ai taxi, con servizi diversi dagli originali.

“Digital disruptor non è sinonimo di Velociraptor”, sottolinea Cuzari con un’altra metafora. “Non si sta al passo del mercato facendo business di impulso, per ‘rapina’ o azzannando velocemente quel che capita. Anche i Velociraptor, ricordo, si sono estinti al pari dei brontosauri, non essendo riusciti a evolversi nella giusta direzione. I clienti stessi devono, quindi, a loro volta essere dei disruptor per non soccombere ai tempi, innovando per difendersi, per potere eccellere nelle proprie aree di interesse”.

 

Le aree di attività di Sirmi

 

E i fornitori, invece? “Bisognerebbe fare un’esame di coscienza del sistema d’offerta italiano”, suggetisce l’amministratore delegato di Sirmi, “complice del fatto che le aziende nostrane investono in It il 40% in meno rispetto alla media europea. Se esistono dei digital disruptor, le aziende It dovrebbero essere in grado di abilitarli, aiutandoli a innovare".

E allora l’invito, uno tra tanti, è di cavalcare il mondo dell’Internet delle cose, per esempio, potendo portare innovazione proprio tra gli oggetti di uso quotidiano che sono sotto gli occhi di tutti. Insomma: correre incontro al nuovo che avanza, e tornare ad ascoltare i clienti per capire dove loro vogliano andare.
 

ARTICOLI CORRELATI