09/10/2019 di Redazione

Polemiche sul 5G cinese, Huawei e Zte vogliono restare in Italia

Dirigenti delle due società cinesi hanno criticato l’allarmismo del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ribadendo la sicurezza delle proprie tecnologie e l’importanza del mercato italiano.

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Huawei e Zte non hanno nessuna intenzione di lasciare l’Italia. Un mercato troppo importante per le loro tecnologie di rete, specie ora che le infrastrutture per il 5G sono in fase di sviluppo. Ma gli Stati Uniti vorrebbero mettere il bastone fra le ruote o, a seconda dei punti di vista, allertare i propri alleati occidentali sui rischi (a loro dire, fondati) di cyberspionaggio del governo cinese, realizzato attraverso software e apparati di rete. In questi giorni la ormai lunga battaglia commerciale e ideologica fra Pechino e Washington si è riflessa sull’Italia, in seguito alla visita a Roma del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo.

Nel suo incontro con il presidente Sergio Mattarella, il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il rappresentante della Casa Bianca non ha usato mezzi termini, invitando l’Italia a "tenere gli occhi aperti" sulle tecnologie cinesi e sostenendo che “ogni singola informazione che attraversa le loro reti è a rischio visto che si tratta di un network controllato dal Partito comunista cinese".

Huawei e Zte non potevano restare in silenzio davanti a queste affermazioni, dopo aver già contestato a più riprese accuse simili nel corso di tutto il 2018 e del 2019. Il presidente di Huawei Italia, Luigi De Vecchis, durante un incontro alla Camera ieri ha dichiarato che "È in corso una battaglia geopolitica tra Usa e Cina, della quale Huawei è un capro espiatorio", sottolineando che “non possiamo dar credito a un signore che viene qui a dire: fuori Huawei dalla pubblica amministrazione”. De Vecchis ha anche ricordato che esistono standard di sicurezza internazionali, a cui la sua azienda si attiene. 

In Italia già esistono misure di tutela dai potenziali rischi del 5G: le sperimentazioni su questa tecnologia rientrano nel Golden Power, cioè tra gli ambiti su cui il governo può esercitare particolari poteri a tutela della sicurezza e degli interessi nazionali. Il decreto sul Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica approvato recentemente, inoltre, amplia i poteri del Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale nei confronti delle soluzioni 5G, anche con effetto retroattivo su quelle già adottate: in caso di verifiche che non soddisfano i criteri di sicurezza, potranno essere scartate e sostituite. 

Questi “cuscinetti”, predisposti da un suo alleato occidentale, evidentemente non soddisfano il governo degli Stati Uniti, un Paese in cui molte aziende cinesi sono finite nella blacklist del Dipartimento del Commercio. A meno di ottenere una licenza, le aziende statunitensi non possono acquistare tecnologie finite né componenti da queste entità segnalate. La tensione non sembra destinata ad alleviarsi, considerando che in settimana la lista nera è stata allungata con numerose aziende (di videosorveglianza e riconoscimento biometrico) ritenute coinvolte in attività di repressione contro minoranze etniche.

In implicito riferimento al Golden Power, il presidente di Huawei Italia ha fatto intendere che l’azienda caldeggia misure comuni a tutti i Paesi dell’Unione Europea. “Non sono chiare”, ha detto De Vecchis, “le circostanze per determinare un pregiudizio alla sicurezza nazionale: quali sarebbero queste circostanze? Le misure di sicurezza correttive devono essere uniche per tutto il cyberspazio”.

Zte, al contrario, ha chiarito che “Non siamo contro il golden power e rispettiamo le leggi”. Parole di Alessandro Passano,  direttore del Cyber Security Lab italiano dell’azienda. Alessio De Sio, direttore dell’ufficio relazioni pubbliche e affari istituzionali, non ha nascosto il fatto che Zte sia controllata per il 51% dal governo cinese. La società, tuttavia, “fa della trasparenza un suo punto di onore. Non ci sono ingerenze e controlli o altre attività poco chiare da parte della Cina”, ha detto il portavoce.

 
 

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