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Spyware Pegasus, la class action di Whatsapp non si ferma

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato la richiesta della società israeliana Nso di bloccare la class action, in corso dal 2019.

Pubblicato il 10 gennaio 2023 da Valentina Bernocco

Il cyberspionaggio ai danni degli utenti di Whatsapp, e in particolare di chi si batte per la libertà di parola e per la democrazia, non può passare in cavalleria. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato la richiesta della società israeliana Nso Group di bloccare la class action avviata da Whatsapp nel 2019 per la violazione di privacy subìta da circa 1.400 persone. Al centro del caso c’è Pegasus, un programma spyware sviluppato da Nso, dichiaratamente per ragioni di cyber intelligence e di sicurezza. 

Nel 2019 Whatsapp si era accorta di una vulnerabilità della funzione di chiamate audio dell’applicazione: grazie a questo bug, Pegasus aveva intercettato i messaggi di circa 1.400 giornalisti, attivisti per i diritti umani, dissidenti politici, diplomatici e alti funzionari governativi. Da qui l’avvio di una causa legale collettiva dell’azienda di Menlo Park. 

Nso Group si era poi rivolta a una Corte d’Appello federale, la U.S. Court of Appeals del Ninth Circuit, chiedendo di bloccare la class action di Whatsapp, a suo dire inconsistente in quanto Pegasus era stato venduto legittimamente a governi stranieri e agenzie di intelligence impegnate nella lotta al terrorismo. La Corte d’Appello aveva però rigettato la richiesta e ora un nuovo “no” è arrivato dalla Corte Suprema, l’autorità più elevata del sistema giudiziario statunitense. “Siamo felici che la Corte Suprema abbia rigettato la petizione di Nso Group”, ha dichiarato Carrie DeCell, avvocato del Knight First Amendment Institute (un’istituzione della Columbia University che opera a tutela della libertà di parola). “La decisione odierna spiana la strada alle cause legali di aziende tecnologiche e a quelle di giornalisti e attivisti per i diritti umani che sono stati vittime di attacchi spyware. L’utilizzo di spyware per spiare e minacciare giornalisti oggi rappresenta una delle minacce più gravi alla libertà di stampa e alla democrazia”.

 

 

In una dichiarazione resa a TechCrunch, un portavoce di Whatsapp ha detto che l’azienda è “grata” alla Corte Suprema per aver rigettato la richiesta di Nso. L’azienda israeliana dev’essere “ritenuta responsabile per le sue attività illegali”. Per converso, un portavoce di Nso ha fatto sapere che la società è “fiduciosa” sull’esito finale della vicenda.

Nso ha sempre sostenuto le buone intenzioni del proprio software, in commercio dal 2017 e indirizzato prevalentemente (secondo le dichiarazioni) a governi e agenzie di intelligence. Pegasus, tuttavia, nelle mani sbagliate può facilmente diventare uno strumento di sorveglianza da remoto, lesivo della privacy e utilizzabile a fini illeciti. Ma i fatti di cronaca suggeriscono altro. Dopo il caso di Whatsapp, nel 2021 era circolato un leak contenente oltre 50mila numeri di telefono di persone presumibilmente prese di mira da Nso fin dal 2016: nel novero giornalisti, avversari politici, attivisti oppositori del regime di Paesi come Azerbaigian, Bahrain, Kazakistan, Messico, Marocco, Ruanda, Arabia Saudita, India ed Emirati Arabi Uniti e, in Europa, Ungheria.

Tag: whatsapp, cause legali, class action, cyberspionaggio, pegasus, spyware, nso group

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