17/05/2024 di redazione

AI in Italia, c’è un gap da colmare su competenze e infrastrutture

Scarsa conoscenza delle normative, poche competenze e infrastrutture inadeguate frenano i progetti di adozione, ma l’interesse c’è. Un report di Luiss e Minsait.

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Sull’intelligenza artificiale nelle aziende, su quale sia effettivamente l’attuale livello di adozione e la “maturità” di utilizzo, i dati sono spesso discordanti. Alcuni report segnalano una forte spinta e curiosità verso l’AI generativa in particolare, altri descrivono le imprese italiane come in ritardo nell’adozione dell’intelligenza artificiale rispetto alle aziende di altri Paesi. Probabilmente la verità sta nel mezzo, e dipende comunque dal campione d’indagine e dal modo in cui i quesiti vengono posti: un fatto è usare applicazioni di AI per scopi lavorativi in modo occasionale, non strutturato e magari su iniziativa personale, altra cosa sono le strategie di adozione pianificate.

Un nuovo studio realizzato dall’Università Luiss Guido Carli e da Minsait fa un po’ di luce sul fenomeno in Italia e scrive a chiare lettere che sì, è vero che le nostre aziende sono in ritardo. Solo il 22% delle organizzazioni (su un campione composto da 502 realtà di undici settori), infatti, ha definito dei veri piani di sviluppo sull’AI coerenti con le strategie aziendali. 

Ma perché, nonostante il tam-tam mediatico dell’ultimo anno e mezzo sull’AI generativa, la maggior parte delle aziende in Italia procede lentamente? Il 65% delle realtà del campione non ha ancora un’infrastruttura tecnologica adeguata, abilitante per i progetti di AI, percentuale che sale in modo significativo (80%) solo tra le aziende del settore bancario. Esistono anche problemi di competenze specifiche sull’AI che mancano, come segnalato dal 19% degli intervistati. 

Inoltre il 60% ammette di non avere ancora una conoscenza sufficiente del contesto normativo, che peraltro è in fieri (perché l’AI Act Europeo è, sì, approvato ma c’è ancora spazio per interpretazioni della legge nel suo recepimento su base nazionale). Un aspetto ancor più determinante, forse, è la difficoltà a individuare i casi d’uso dell'AI: così segnala il 50% degli intervistati. E notiamo che allora forse non è un caso se i grandi vendor di software e servizi stanno puntando su questo, con attività di evangelizzazione e consulenza ma anche strutturando a monte l’offerta tecnologica su casi d’uso concreti, appunto. “La maggior parte delle imprese non sa ancora come applicare l’intelligenza artificiale nello sviluppo del proprio business, né ha piani di integrazione di questa tecnologia”, ha detto Pedro García, amministratore delegato di Minsait in Italia. “In molti casi, non esiste nemmeno una solida base tecnologica a supporto di un’implementazione agile dell’AI”.

Se però la ricerca di Luiss e Minsait si intitola “Intelligenza Artificiale in Italia – La rivoluzione che sta cambiando il business”, è perché, secondo i suoi autori, queste tecnologie hanno davvero un potenziale trasformativo per le aziende. A bilanciare tutti i dati, non esaltanti, sopra esposti c’è il fatto che il 52% delle aziende intervistate abbia già lanciato progetti sull’AI, un chiaro segnale di interesse. Le motivazioni per cavalcare l’intelligenza artificiale non mancano: innanzitutto la ricerca di una maggiore efficienza operativa (segnalata dal 25% degli intervistati) e poi il miglioramento dell’esperienza dei clienti (20%) e, per i più visionari, l’obiettivo di trasformare la propria offerta o il modello di business (13%).

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