Chi trova un collega trova un tesoro. Così si potrebbero riassumere i risultati di un sondaggio, Relatioships @ Work, realizzato su scala globale da LinkedIn con lo scopo di fotografare le relazioni di lavoro ai tempi dei social media. Alcuni dei risultati sono interessanti a prescindere dal rapporto fra carriere e tecnologie 2.0, mentre altri fanno riflettere su quanto la propensione a condividere informazioni personali, esperienze e – perché no – amicizie sia legata anche a fattori generazionali che distinguono i “nativi digitali” (o Millennial, considerati in questa ricerca come i giovani dai 18 ai 24 anni) dai più attempati baby boomer (55-65enni).
L’indagine, realizzata da CensusWide nel mese di aprile, ha coinvolto oltre 11.500 professionisti full-time di età compresa fra i 18 e i 65 anni, residenti in 14 Paesi.
Lo sconfinamento tra sfera professionale e personale è, chiaramente, un dato preesistente ai social network, ma altrettanto chiaramente favorito dall’ascesa di Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram e via dicendo. Poco più o poco meno di un terzo degli intervistati, a seconda della specifica domanda, sembra propenso a mescolare queste due sfere: il 30% ammette che la maggior parte dei propri amici attuali sono o sono stati colleghi di lavoro; il 36% socializza con i colleghi anche al di fuori dell'orario lavorativo; il 31% si è spinto a invitare i proprio capo a connettersi con lui sui social.
C’è poi un 20% che addirittura si sente meglio compreso dal proprio vicino di scrivania piuttosto che dagli amici, mentre in Italia un lavoratore su cinque afferma di avere un collega, uomo o donna, che si prende cura di lui come se fosse il proprio partner o come fosse un genitore.
Per circa metà degli interpellati, tuttavia, quando questa apparente celebrazione delle buone relazioni in ufficio si scontra con gli interessi personali, a prevalere sono questi ultimi: il 48% degli uomini e il 54% delle donne hanno ammesso che sacrificherebbero l’amicizia con un collega per ottenere una promozione. È qui, però, che le differenze generazionali iniziano a farsi sentire: in Italia mentre fra i baby boomer la percentuale dei “carrieristi” si ferma al 48%, tra i giovanissimi raggiunge il 68%.
In relazione all’avvento dei social media, c'è un altro aspetto che separa la “generazione Y” degli under-25 dai lavoratori senior: la propensione a mettere in piazza le proprie vite private. E il pensiero va al modo, quasi una radicale trasformazione, in cui Facebook e gli altri social ci hanno abituati a pubblicare contenuti anche strettamente personali, che un tempo sarebbero rimasti confinati dentro a discussioni faccia a faccia.
Secondo la ricerca, i più giovani si sentono maggiormente a loro agio nel parlare di questioni personali con i colleghi in ufficio: quasi la metà (49%) dei Millennial discuterebbe dello stipendio, cosa che solo il 31% dei baby boomer è disposta a fare; il 53% dei più giovani non rifiuterebbe di offrire ai colleghi consigli su questioni sentimentali, mentre meno di un quarto (23%) dei baby boomer lo farebbe. Su un fatto, in ogni caso, il 46% dei più o meno giovani è d’accordo: un’amicizia sul posto di lavoro rende generalmente più motivati, felici e produttivi.