04/12/2015 di Redazione

Uber bussa agli hedge fund per rastrellare oltre due miliardi

L’azienda è a caccia di investitori per ampliare il business, soprattutto in Asia, e per sfidare l’agguerrita concorrenza, che ora sta cercando di unirsi. L’iniezione di liquidità porterebbe il valore della società a 62,5 miliardi di dollari, maggiore di

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Uber vuole crescere ancora. Secondo indiscrezioni riportate da Bloomberg, l’azienda sarebbe pronta a lanciarsi in un nuovo round di investimenti per rastrellare 2,1 miliardi di dollari, arrivando così a un valore monstre di 62,5 miliardi. In prima fila ci sarebbero diversi hedge fund, come Tiger Global Management e T. Rowe Price, ma Uber sarebbe alla ricerca anche di altre società. L’iniezione di liquidità tornerebbe utile all’azienda di San Francisco per espandersi ulteriormente in mercati fondamentali dal punto di vista del fatturato, come la Cina e l’India. Infatti, Uber ha pianificato di investire circa un miliardo di dollari nel Paese del Dragone, come sottolineato in una lettera siglata dal Ceo Travis Kalanick e inviata agli investitori lo scorso giugno. Pur possedendo una capitalizzazione maggiore dell’80% dei colossi dell’indice S&P 500, tra cui nomi come Blackrock, Ford e General Motors, Uber deve fare i conti con una concorrenza agguerrita, sia in patria sia all’estero.

Negli Stati Uniti deve guardarsi le spalle da Lyft: la società sta cercando di rastrellare 500 milioni di dollari per crescere ancora in aree chiave, come quella di San Francisco, dove Uber è nata e dove avrebbe di recente perso quote in favore proprio di Lyft. Cinquecento milioni di dollari potrebbero sembrare bruscolini rispetto alle cifre a cui è abituata Uber, ma così non è. Considerando soprattutto che la minaccia principale per l’azienda proviene da est, ma ha solidi radici proprio nella Bay Area.

I tre principali player nello sconfinato mercato asiatico, la cinese Didi Kuaidi, l’indiana Ola e la singaporiana Grabtaxi sarebbero infatti in trattativa con Lyft per rendere le proprie app compatibili tra loro e per offrire un servizio unificato sperimentale ai viaggiatori dei diversi Paesi. Un’idea dal respiro globale, che potrebbe tagliare le gambe ai piani di espansione di Uber nell’est e nel sudest asiatico.

 

 

L’azienda di San Francisco è al momento in attivo in circa ottanta città in tutto il mondo, con un numero di passaggi in aumento del 250% rispetto al 2014. L’Italia è ancora esclusa dai giochi in quanto Uber Pop, l’applicazione che permette a chiunque di offrire corse a pagamento, è stata bloccata a luglio da una sentenza del tribunale ordinario di Milano, estesa poi anche alle altre città dove il servizio era attivo: Genova, Torino e Padova. Uber sta studiando al momento alternative che non facciano scattare sull’attenti i tassisti e potrebbe lanciare per il Giubileo un servizio di ride sharing dedicato ai pellegrini.

Così come potrebbe arrivare presto sul mercato italiano Ubereats, che permette di ricevere a domicilio piatti caldi da bar e ristoranti. Il servizio è attivo al momento in 12 città e l’unica metropoli europea presente nella lista è Parigi. Ma il core business della società rimane ovviamente quello dei trasporti urbani, finanziato a colpi di dollari anche da realtà apparentemente terze. Come Microsoft, che ad agosto ha deciso di investire cento milioni di dollari in Uber dopo averle ceduto il proprio patrimonio di mappe e immagini targate Bing.

 

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