18/10/2022 di Redazione

AI-washing, non è tutto oro ciò che luccica

Non sempre ciò che sembra intelligenza artificiale lo è davvero, e non sempre l'AI è utile. L'opinione di Devid Jegerson, membro del comitato scientifico di Aicel ed esperto internazionale di politiche digitali.

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I numeri dell’intelligenza artificiale fanno girare la testa, avendo raggiunto livelli importanti e crescendo rapidamente. Secondo le stime di Idc, il mercato mondiale dell’AI è arrivato nel 2021 a valere quasi 60 miliardi di dollari (59,67 miliardi) e per il 2022 ci si attende una crescita superiore al 19% e un giro d’affari di 422 miliardi di dollari. Nel 2023, poi, sarà superata la soglia dei 500 miliardi di dollari. Un’altra società di ricerca e di analisi, Grand View Research, stima invece per il mercato mondiale dell’AI un valore di 93,5 miliardi di dollari nel 2021. Questa discrepanza, citata a mo’ di esempio, rende l’idea dei confini incerti dell’intelligenza artificiale, tra software e sistemi di machine learning, deep learning, visione artificiale, elaborazione del linguaggio naturale e altro ancora. 

Sullo sfondo resta il problema di delimitare il campo, distinguendo l’AI vera e propria dalle tecnologie che semplicemente impiegano un’automazione evoluta o altre tecnologie in qualche modo “smart. Non sempre ciò che sembra intelligenza artificiale lo è davvero. Inoltre l’AI può essere utile in diversi scenari, ma non ovunque. Ce ne parla Devid Jegerson, membro del comitato scientifico di Aicel (Associazione Italiana Commercio Elettronico) ed esperto internazionale di politiche digitali.

 

 

Devid Jegerson, comitato scientifico di Aicel (Associazione Italiana Commercio Elettronico)

 

L’intelligenza artificiale è davvero utile? Sì, ma solo in alcuni casi. Sempre più startup nel mondo stanno dando la priorità assoluta allo sviluppo di soluzioni di intelligenza artificiale. Spesso, tuttavia, per esse l’AI è solo un’etichetta per ottenere più finanziamenti, come avviene nel campo della sostenibilità ambientale con il greenwashing. Negli ultimi anni nel mondo gli investimenti in startup di intelligenza artificiale sono raddoppiati e le principali aziende tecnologiche come Google sono passate da una strategia “mobile-first” a un approccio “AI-first”, dando la priorità all'Artificial Intelligence rispetto a tutte le altre tecnologie e piattaforme. Ma questa è davvero una buona notizia?
 

L'AI è un sistema informativo in grado di intraprendere azioni senza essere programmato per farlo, cioè con un approccio basato non su regole predefinite bensì sull’accumulo e sull’elaborazione della maggior quantità possibile di dati. A differenza dell'automazione, che prevede operazioni eseguite sempre allo stesso modo, l’Intelligenza artificiale supporta il processo decisionale seguendo uno schema logico, spesso non tangibile o decodificabile, basato sulle informazioni raccolte nel tempo.
 

Forma o sostanza?
L’AI, dunque, non è sempre funzionale rispetto a un determinato obiettivo, perché richiede un'elevata quantità di dati e capacità di elaborazione. Eppure le startup ne fanno sempre di più un punto di riferimento, e spesso senza nemmeno capirne il significato. Da una recente ricerca condotta da Mmc Ventures nel Regno Unito risulta che la maggior parte delle startup che affermano di applicare l'intelligenza artificiale ai propri prodotti in realtà non la conosce affatto. Non solo: non ci sono prove che l'intelligenza artificiale sia rilevante per i prodotti offerti nel 40% delle 2.830 startup europee esaminate. Questo accade anche perché, per fare un esempio, un chatbot comune o uno di quei piccoli robot che fanno le pulizie nelle nostre case non sono applicazioni di AI in quanto vengono programmati con regole prestabilite. 

Sono invece corretti esempi di AI il programma di assistenza vocale Siri, l’auto a guida autonoma o il software che riconosce il volto delle persone nelle foto sullo smartphone, perché appunto nell’ultimo caso l’algoritmo impara da milioni di volti ed è in grado di riconoscere le loro caratteristiche specifiche. Sempre più spesso, insomma, l’Intelligenza artificiale sta diventando un’etichetta per ottenere più finanziamenti, come avviene per la sostenibilità ambientale con il cosiddetto greenwashing. Inoltre, anche supponendo di poter accedere a una grande quantità di dati da elaborare, l'uso dell'AI non è sempre la risposta corretta a un problema o a un progetto di sviluppo tecnologico.
 

Tre casi di AI davvero utile
Applicare l'intelligenza artificiale è realmente utile in tre casi. In primo luogo, quando si conosce il problema ma non sono disponibili dati. In questo caso, grazie alla serie di dati che vengono raccolti, l’AI può ottimizzare i processi. La manutenzione predittiva in un'auto è un esempio in cui questa tecnologica può fare la differenza: con una serie di punti dati che vengono raccolti tramite sensori nel veicolo (comportamento di guida, velocità, tipo di tempo, eccetera), il software può prevedere quando la parte non funzionerà in modo ottimale, sulla base delle interazioni dei componenti nel sistema interno ed esterno.

Una seconda circostanza in cui l’AI si rivela utile è quando un problema non può avere una soluzione analitica: ad esempio, per riconoscere un volto in un'immagine digitale composta da milioni di pixel, con un linguaggio di programmazione standard servirebbero un milione di righe di codice. 


In terzo luogo, l’AI è preziosa nei casi in cui è necessario ottimizzare l'interazione uomo-macchina. Se si sta guidando un’auto e si vuole inviare un messaggio dal cellulare, è meglio chiedere a Siri di farlo. Ad esempio, se sto guidando la mia auto e voglio inviare un messaggio di testo, tenere il telefono in mano e contemporaneamente guidare non va bene perché disorienta la mia attenzione sulla conduzione del veicolo. È meglio chiedere a un sistema di riconoscimento vocale di inviarlo per mio conto.

 

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