07/10/2020 di Redazione

Apple, Amazon, Facebook, Google: troppo potere nelle loro mani?

Un report della House Judiciary Antitrust Subcommittee negli Stati Uniti critica l’oligopolio delle quattro “big tech”. E chiede un intervento diretto del Congresso.

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Apple, Amazon, Facebook e Google: troppo potere nelle mani di quattro aziende diventate ormai non solamente dei colossi tecnologici, ma anche e innanzitutto economici. Tanto da alterare la libera concorrenza, in barba alle norme antitrust, e tanto da rappresentare una potenziale minaccia all’innovazione. Questo è il succo della relazione da 450 pagine prodotta dalla House Judiciary Antitrust Subcommittee statunitense in seguito a un’indagine partita quasi un anno e mezzo fa. I presidenti della sottocommissione giudiziaria, Jerrold Nadler, e quello della commissione antitrust, David Cicilline, insieme scrivono che “in anni recenti, ciascuna di queste aziende ha allargato e sfruttato il proprio potere sul mercato in modi anticompetitivi”. 

 

L’indagine, si legge, “non lascia dubbi” sul fatto che si debba intervenire: il Congresso e gli enti di tutela dell’antitrust dovrebbero, insieme, agire per “ripristinare la competizione, migliorare l’innovazione e salvaguardare la nostra democrazia”. Da vari membri del Congresso le quattro big tech sono state definite con epiteti del rango di “aziende predatrici”, che hanno sfruttato il proprio potere sia ai danni della concorrenza sia ai danni degli utenti.

 

Facebook “mangia-tutto”
Facebook, in particolare, è stata giudicata colpevole di alterare il libero mercato avendo fagocitato al suo interno quasi un centinaio di aziende acquisite, come Instagram, Whatsapp e Oculus per citare le principali. Nel report si legge che il potere dominante di Facebook ha ridotto la libertà di scelta dei consumatori, l’innovazione, la pluralità di opinioni e le iniziative imprenditoriali di altri, nonché - fatto ancor più grave - ha eroso la privacy dei cittadini. Non è sempre stato così, ma l’assenza di una reale competizione nel campo dei social network ha finito per far peggiorare la qualità di Facebook: ci hanno rimesso la privacy e la correttezza delle informazioni, ormai infestate di fake news.

 

 

 

Google padrona del Web
La principale colpa di Google sarebbe invece quella di detenere il monopolio nel campo delle ricerche Web, difendendo questa sua posizione con “una serie di tattiche anticompetitive”. Per esempio, restrizioni imposte nei contratti commerciali, provvigioni ai chi assicura esclusività a Google Search e ad Android (fatti per cui l’azienda di Mountain View è già stata pesantemente sanzionata in Europa). E il problema non sarebbero tanto i singoli servizi offerti da Big G nel Web, quanto la rete formata dalla loro intersezione. Con questa rete Google pesca una miriade di dati di ogni genere.

 

Pioggia di critiche su Amazon
Pesanti critiche anche per Amazon, detentore di circa il 40% delle vendite online degli Stati Uniti. Per molte piccole e medie aziende la piattaforma e-commerce di Jeff Bezos è l’unica alternativa fattibile per poter vendere online. Su 2,3 milioni di rivenditori terzi attivi su Amazon, il 37% si affida a questa piattaforma come unico canale di vendita sul Web. L’azienda, si legge nel report, pubblicamente chiama “partner” i propri rivenditori, ma a porte chiuse (così si evincerebbe da “documenti interni”) li chiama “concorrenti interni”. Non mancano, poi, accuse di monopolio riguardanti il cloud di Aws e preoccupazioni sulla raccolta di dati sensibili da parte dell’assistente virtuale Alexa.

 

Concorrenti e sviluppatori vittime di Apple
Da Seattle a Cupertino, lo scenario non è meno grave. Con gli oltre 100 milioni di iPhone e iPad attivi negli Stati Uniti, Apple esercita un potere monopolistico sul mercato delle applicazioni per smartphone e sfrutta la sua posizione dominante per “creare e rafforzare barriere alla competizione, per discriminare e per escludere i suoi rivali, favorendo invece i propri prodotti”, scrive la sottocommissione. Come se non bastasse, la società “usa il suo potere per sfruttare gli sviluppatori di applicazioni, appropriandosi indebitamente di informazioni critiche per la competizione”. I costi per chi voglia comparire su App Store, inoltre, sarebbero tutt’altro che competitivi. 

 

Nuove leggi all’orizzonte?
Tutte e quattro le big tech non soltanto violerebbero i principi del libero mercato, ma metterebbero a rischio “sia le libertà politiche sia quelle economiche”. Alla luce delle molte indagini antitrust dell’ultimo decennio, spesso seguite da sanzioni pecuniarie, si potrebbe notare che tutte queste accuse non sono niente di nuovo. In questo caso però si fa appello al Congresso, dunque a una forza governativa, affinché intervenga in prima persona con una serie di riforme che, se realizzate, davvero potrebbero limitare di molto la libertà di azione dei colossi tecnologici. Il report dà qualche chiaro suggerimento: imporre delle “separazioni strutturali” che impediscano ad alcune piattaforme tecnologiche di allargarsi in segmenti di mercato adiacenti; introdurre requisiti di non-discriminazione, che impediscano ai colossi di favorire sé stessi e i propri servizi a discapito di altri; obbligare queste aziende a rendere i loro prodotti compatibili con diverse piattaforme esterne e a favorire la portabilità dei dati. La sottocommissione chiede, inoltre, di stabilire divieti preventivi su future operazioni di acquisizione e fusione, per evitare che i quattro giganti possano crescere ancora.

 

La replica di Google
In risposta al report, Google ha voluto specificare che il fine delle leggi antitrust è tutelare il consumatore e non aiutare i concorrenti di un’azienda. A detta di Big G, molte delle proposte di riforma profilate danneggerebbero gli utenti, privandoli di servizi che sono abituati a usare ogni giorno, “e tutto senza chiari vantaggi”.

 

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