02/02/2021 di Redazione

Donne e stranieri discriminati sul lavoro, Google dovrà pagare

La società di Mountain View ha accettato di pagare un risarcimento da 2,59 milioni di dollari a oltre 5.500 persone, tra ex dipendenti, candidati e candidate non assunti. M Google difende la propria cultura aziendale.

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Google discrimina le donne, riconoscendo alle sue dipendenti stipendi inferiori a quelli degli uomini e preferendo i candidati di sesso maschile? E scarta possibili candidati solo perché asiatici? L’azienda di Mountain View ha ammesso le proprie colpe, accettando di pagare un risarcimento di 2,59 milioni di dollari per metter fine a un procedimento legale avviato da Dipartimento del Lavoro statunitense. Più precisamente, dovrà pagare 1,4 milioni di dollari in arretrati e interessi a 2.565 donne assunte come ingegnere del software, il cui stipendio era inferiore a quello dei colleghi maschi, e 1,2 milioni di dollari a 1.757 donne e a 1.219 candidati asiatici che avevano sostenuti colloqui di lavoro senza successo.

Google si è anche impegnata a elargire altre somme nei prossimi cinque anni (per un massimo di 250mila dollari all’anno) nel caso dovessero emergere altre contestazioni. Potenzialmente, la cifra massima sborsata potrebbe arrivare a 3,8 milioni di dollari. Cifra esorbitante per le tasche dei poveri mortali, ma non certo per un colosso tecnologico come Alphabet, gruppo di cui Google è la punta di diamante. 

Accettando di concedere il risarcimento la società tampona il danno d’immagine causato, negli anni, da diverse accuse di discriminazione ai danni del gentil sesso. Nel 2017 si era aperta una class action con cui le dipendenti accusavano l’azienda di disparità salariali tra i sessi, a parità di ruolo. Un’analisi fatta dal New York Time sulla base di dati forniti da 1.200 dipendenti Google sembrava confermare questa accusa. 

Le contestazioni erano fondate, come dimostrano audit relativi alle retribuzioni e alle nuove assunzioni negli anni compresi tra il 2014 e il 2017. Un errore involontario? Google ammette l’errore ma nega la malafede. Un portavoce della società, all’indomani dell’accordo sul risarcimento, ha sottolineato che la cultura aziendale di Big G non è certo quella della discriminazione: “Crediamo che tutti debbano essere pagati sulla base del lavoro che svolgono, non di chi sono, e investiamo massicciamente per rendere giusto e privo di pregiudizi i nostri processi di assunzione e di retribuzione”.

“Negli ultimi otto anni”, ha proseguito il portavoce, “abbiamo condotto analisi annuali sull’equità delle paghe, per identificare e risolvere eventuali discrepanze. Siamo lieti di aver risolto questa questione, relative ad accuse sugli audit del 2014-2017, e ribadiamo l’impegno per la diversity e l’equità, e per supportare i nostri dipendenti così da permettere loro di lavorare al meglio”.

 

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