09/07/2021 di Redazione

Google ribatte alle accuse di monopolio e difende le sue scelte

Rispondendo all’avvio di una causa legale da parte di 36 Stati Usa, l’azienda di Mountain View ha difeso Google Play e le proprie regole.

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Altro che monopolio, grazie a Google Play e all’ecosistema Android è stata creata una maggiore libertà di scelta per gli utenti, nonché grandi opportunità per gli sviluppatori. Google ha replicato con un lungo blogpost al vetriolo (quasi un’arringa difensiva, se già fossimo a processo) al procedimento legale avviato da 37 procuratori generali di 36 Stati e del Distretto della Columbia. L’accusa è quella di perpetrare pratiche monopolistiche attraverso Google Play, penalizzando i marketplace concorrenti e anche gli sviluppatori, a sui cui guadagni vengono applicate commissioni troppo alte.

 

“Abbiamo realizzato Android per creare maggiore scelta nelle tecnologie mobili”, esordisce Wilson White, senior director of Public Policy di Google. “Oggi tutti, inclusi i nostri concorrenti, possono personalizzare e costruire dispositivi con sistema operativo Android, e gratuitamente”. Il discorso prosegue ricordando che Google, a differenza di altri (cioè, tra le righe, di Apple), non impone obbligo di esclusiva agli sviluppatori e consente agli utenti di scaricare un’app Android anche da altri marketplace o dal sito dello sviluppatore. “È strano, dunque, che un un gruppo di procuratori generali scelga di avviare una causa attaccando un sistema che fornisce più apertura e libertà di scelta di altri”, prosegue White, bollando poi questa causa come “priva di merito”, al pari di quella avviata da Epic Games (uno tra i principali sviluppatori di applicazioni di videogioco distribuite su Google Play).

 

Il blogpost prosegue ricordando che Google stessa affronta la concorrenza dell’App Store di iOS, il quale da solo raccoglie la maggior parte dei guadagni legati alle app (download a pagamento, acquisti in-app e pubblicità). Google Play, inoltre, non viene imposto come obbligo a nessuno, né agli utenti né agli sviluppatori. L’accusa secondo cui non avrebbero altra possibilità di scelta è infondata, anzi: “La scelta è sempre stata un principio chiave di Android”, sostiene White, ricordando che i produttori di smartphone e tablet possono decidere di preinstallare sui dispositivi un’applicazione di marketplace alternativa. Così per esempio fa Amazon con i tablet della linea Fire, mentre Samsung installa sia l’app di Google Play sia quella del Galaxy Store. E niente vieta agli utenti di scaricare sui dispositivi Android altre applicazioni di marketplace di loro gusto.

 

L’argomentazione successiva cerca di dimostrare quanto Google sia amica degli sviluppatori, sostenendo che nel 2020 l’ecosistema Android abbia contribuito a creare quasi due milioni di posti di lavoro in Nord America. A febbraio del 2020, il conteggio dei guadagni raccolti dagli sviluppatori tramite il Google Play Store superava gli 80 miliardi di dollari. Inoltre l’azienda del gruppo Alphabet fornisce strumenti che aiutano a creare applicazioni in modo semplice ed economico, a testarle, monitorarle e farle crescere.

 

“La causa è punteggiata da un linguaggio provocatorio, finalizzato a distrarre dal fatto che le nostre regole su Android e Google Play avvantaggiano i consumatori”, prosegue White. “Dietro alle app distribuite su Google Play ci siamo noi, per cui abbiamo delle regole per tenere in sicurezza il negozio, proteggere la privacy e prevenire le frodi”. Esistono quindi dei meccanismi antispam, recensioni e segnalazioni di contenuti inappropriati, ma tutto questo non danneggia gli utenti. “Le persone vogliono e si aspettano questo quando usano i loro telefoni”.

 

A questo punto si entra nel merito di una questione chiave dell’azione legale, cioè le commissioni che Google si riserva sui guadagni fatti dagli sviluppatori. Nel blogpost si spiega che l’incriminato 30% di commissione si applica solo ai guadagni superiori al milione di dollari, e rientra in questa categoria appena lo 0,1% degli sviluppatori presenti su Google Play e l’1% di quelli che vendono servizi e contenuti tramite la piattaforma. Per somme inferiori al milione di dollari la commissione è 15%, mentre è inesistente per le applicazioni che non prevedono pagamenti. E ancora una stoccatina a Epic Games: “Alcuni grandi sviluppatori di app, come Epic, vogliono avere tariffe preferenziali e vogliono usare i propri sistemi di gestione dei pagamenti, ma questo danneggerebbe l’intero ecosistema”, afferma il portavoce di Google.

 

(Fonte: Google)

 

Perché non prevedere un metodo diverso, decentralizzato e pluralistico, per veicolare i guadagni fatti tramite il Play Store? Numero uno, spiega l’azienda, perché l’attuale modello di business va a beneficio della stragrande maggioranza degli sviluppatori, a quel 97% che non vende contenuti digitali tramite la piattaforma e che non è soggetto a commissioni. Secondariamente, perché un sistema di fatturazione centralizzato protegge gli utenti dalle frodi e li aiuta a tener traccia dei loro acquisti, conservati tutti in un unico luogo. Inoltre permette a Google di fornire strumenti di controllo parentale e di gestione degli abbonamenti. Se poi proprio questo sistema a qualcuno non piace, liberi di andare altrove. “Lo ripetiamo: gli sviluppatori che non apprezzano le nostre policy possono sempre distribuire le loro app a utenti Android o direttamente o su app store concorrenti, senza usare il nostro sistema di fatturazione e senza pagarci un centesimo. E molti lo fanno”. 

 

Il piccato intervento di Wilson White concede solo per un attimo, in chiusura, toni più concilianti: “Capiamo che questa indagine è appropriata e ci impegniamo a relazionarci con i regolatori. Ma Android e Google Play forniscono apertura e scelta laddove altri semplicemente non lo fanno”. I toni concilianti svaniscono subito: questa causa, a detta di Google, non difende i piccoli sviluppatori né protegge gli utenti, bensì spalleggia una manciata di grandi sviluppatori di che vogliono avere i vantaggi di Google Play senza pagare. Questo rischia di aumentare i costi per i piccoli sviluppatori, ostacolando la loro capacità di innovare e di competere, e rendendo meno sicure per i consumatori le app dell’ecosistema Android”.

 

 

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