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I Dark Data valgono oro

Pubblicato il 20 marzo 2015 da Redazione

Potrebbero non sembrarlo, ma i cosiddetti ‘dark data’ accumulati negli anni possono rappresentare una vera e propria miniera d’oro, in grado di offrire all’azienda un notevole vantaggio competitivo se associati ai dati critici utilizzati quotidianamente.

Archiviati in polverosi vault e in storage off-site, esistono volumi e volumi di ‘dark data’ in quasi tutte le organizzazioni, storicamente non considerati e sicuramente sottovalutati. Recenti avanzamenti tecnologici e l’adozione di una miriade di dispositivi mobili hanno modificato le aspettative degli utenti che oggi esigono un accesso alle informazioni in ogni momento e luogo. La moderna condivisione delle informazioni sta buttando benzina sul fuoco, abilitando gli utenti a creare e condividere i dati a loro piacimento, e permettendo ai ‘dark data’ di fluire liberamente tra dispositivi consumer quali smartphone, tablet e i più tradizionali laptop. Il problema è che molte aziende non dispongono della tecnologia e delle policy necessarie per determinare best practice per una valida protezione dei dati e una loro archiviazione efficace al di fuori del data center istituzionale.

L’esplosione dei dati – nessuna riduzione in vista
Gli IT administrator spesso non hanno visibilità sui dati che vengono creati, hanno un controllo limitato sul modo in cui vengono archiviati e quasi nessuna comprensione del loro valore di business. Questa situazione può sicuramente sfociare in mancate opportunità e aumento di costi. Quando si tratta di information lifecycle management, molto spesso le imprese decidono di affidarsi a tape vault per conservare ogni minima informazione, per la paura di eliminare qualcosa di valore.

Il costo reale di tenere tutto
In un recente sondaggio, il Compliance, Governance e Oversight Counsel (CGOC) ha evidenziato che il 69% dei dati di un’azienda non ha alcun valore. In pratica, le imprese spendono fino al 20% del loro budget annuale per conservare dati inutili che non offrono alcun ROI.

Oltre alla spesa legata all’archiviazione di dati superflui, i rischi associati al loro ripristino in caso di breach o di un’azione legale sono significativi. Quando si tratta di gestire un processo di eDiscovery per esempio, valutare una massa di informazioni inutili è un’attività assolutamente impegnativa, che può assorbire tutto il tempo e il budget dell’IT manager, lasciandogli poco spazio per occuparsi delle esigenze di business o obbligando l’azienda a rivolgersi a costose risorse esterne.

Definire il valore dei dati
La chiave per soddisfare l’esigenza di tenere le informazioni utili per il business è quella di identificare quali dati hanno valore per quale parte dell’organizzazione e per quanto tempo. Sono svariati i fattori da considerare per valutare in maniera realistica i propri dati:

  • Sono relativi alla funzione HR?
  • Sono legati a progetti ongoing in cui si trae vantaggio da IP aziendale?
  • Vi sono utenti esterni che potrebbero beneficiare di questi dati?
  • Quale sistema di indicizzazione si dovrebbe utilizzare per tutti i dati?

 Una volta analizzati i dati e indicizzati in modo corretto, le aziende possono decidere come e dove archiviarli – localmente, nel cloud, offsite o impiegando una combinazione di queste opzioni. Questo assicura un approccio più semplice e un risparmio sui costi – entrambi sottoprodotti di una strategia di dati ben definita.

I ‘dark data’ rappresentano opportunità non sfruttate per trasformare il business, vantaggi che possono essere realizzati tramite una combinazione di migrazione, eliminazione e conservazione content-aware. Una volta che questo processo è avviato, i benefici si vedono immediatamente. Solo così le imprese potranno gestire in modo efficace i dati present-day che richiedono un posto in prima fila.

Rodolfo Falcone
Country Manager, CommVault Italia

 

Tag: commvault, dark data

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