30/04/2011 di Redazione

I direttori del personale ci spiano, su Internet!

La tendenza è confermata da varie ricerche ed è sempre più diffusa: prima di procedere con un’assunzione, i responsabili delle risorse umane cercano in Rete informazioni sul candidato, nei motori di ricerca e sui social network. La notizia è di quelle ad

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Quella che è diventata una normale abitudine di tutti (o quasi) gli internauti, ovvero cercare notizie e “segreti” di conoscenti digitando il loro nome su Google è, adesso, anche uno strumento di ricerca e selezione del personale. Uno strumento in parte subdolo ma che permette davvero ai cacciatori di teste di inquadrare meglio il profilo psicologico e professionale della persona da assumere. Spiando” le tracce digitali che ognuno di noi lascia sulla Rete si può risalire a molte informazioni utili su quello che “realmente” siamo e che, forse, nei colloqui e nei curriculum vitae omettiamo o trascuriamo.
 
I tentacoli del Grande Fratello sono ormai dappertutto e prima ancora di arrivare ad un colloquio, il “selezionatore” sa già molte cose di noi. La cosa, per certi aspetti, inquieta un po’. Per esempio, digitando il mio nome, vengono fuori anche alcune battaglie civili fatte nel mio territorio, in polemica con una amministrazione comunale.

 
A questo punto devo sperare che in un ipotetico colloquio il direttore del personale non sia della stessa parte politica del Sindaco con il quale ho polemizzato. Questo episodio, che può sembrare banale, in realtà suscita certi timori perché, estremizzando, può capitare che in questo modo si indaghi volutamente la vita privata del potenziale dipendente dal punto di vista delle idee politiche, delle simpatie calcistiche, delle tendenze sessuali e via dicendo. E che la questione delle competenze e capacità professionali passino in secondo piano, sancendo, di fatto, una discriminazione.

Che possiamo fare? Niente!
In base ai dati di una ricerca commissionata da di GIDP (una delle due associazioni che in Italia rappresentano i direttori del personale) questa prassi è ormai diffusa e consolidata nelle aziende e a poco o nulla servono le denunce di presunta illegalità fatte da alcuni giuristi che si rifanno allo Statuto dei lavoratori.

È impossibile impedire l’attività di “spionaggio” digitale da parte dei direttori del personale a meno ché non si voglia bloccare Google o Facebook. Impensabile. E quindi occorre adeguarsi e rassegnarsi a essere spiati, sperando che questo non si traduca in autocensura e non limiti la nostra libertà di pensiero e di espressione sulla Rete.
 
A sentire molti direttori del personale, quindi, questa pratica darebbe i suoi frutti. Molti di loro, infatti, lamentano l’abituale mancanza di “sincerità” nei colloqui da parte dei candidati all’assunzione che tenderebbero, com’è umano aspettarsi, ad auto-esaltare le proprie capacità ed esperienze ben oltre la realtà. Questo, chiaramente, crea delle discrepanze e  se a questo punto la tecnologia offre, gratuitamente, la possibilità di sapere di più su quella determinata persona, è evidente che vi si ricorre.

Parlano i responsabili delle Associazioni degli Hr manager in Italia

“Confermo questa nuova tendenza – dice in proposito Paolo Iacci, vice presidente AIDP (Associazione Italiana Direttori del Personale) – in quanto la Rete è un indubbio strumento di comune utilizzo tra i direttori del personale per cercare informazioni sulle persone da selezionare.  Inoltre – spiega ancora Iacci – sempre di più si ricorre ai vari social network per fare ricerca e selezione del personale in modo diretto. Ci sono molte aziende nell’ICT, per esempio, che hanno nella loro policy la pratica di frequentare la Rete per fare scouting”. Lo stesso numero due di AIDP, tuttavia, evidenzia i rischi di discriminazione che questa pratica comporta e in sostanza passa la palla alle singole personalità dei direttori del personale che dovrebbero utilizzare con saggezze lo strumento.


E quando ci si rimette alle sensibilità dei singoli e non esiste una regola generale è un po’ come affidarsi ad una lotteria: si spera di incontrare il selezionatore “giusto”, si spera. “Una possibilità per ovviare ai pericoli esiste e riguarda la cosiddetta reputazione digitale – aggiunge il vicepresidente AIDP – In sostanza, quando ci muoviamo sulla Rete, da adesso in poi, dobbiamo farlo con cautela e pensando che quello che scriviamo un giorno potrà essere usato contro di noi”.  Cosa sia davvero la “reputazione digitale” è ancora tutto da decifrare, ma, come si vede, la questione è di importanza vitale.
 
“E’ chiaro che con l’utilizzo della Rete – questa invece l’idea di Paolo Citterio, presidente di GIDP – saltano una serie di procedure complesse precedenti e soprattutto si possono avere informazioni più veritiere e complete sulla persona da assumere. E in tempo di crisi, in cui le assunzioni non sono così tante, bisogna stare attenti a chi ci si mette in casa. In sostanza cambia l’approccio ma la privacy è garantita”.
 
Privacy: cosa dice lo Statuto dei lavoratori
Se è vero che è la privacy garantita in riferimento alla informazioni pubbliche, cosa succede però quando queste informazioni descrivono alcuni aspetti particolari della nostra vita? In riferimento allo Statuto dei lavoratori, infatti due sono gli articoli di riferimento, il 4 e l’8. In particolare, l’articolo 8 stabilisce che non si possono prendere informazioni sensibili e riservate che riguardano l’orientamento, religioso, politico, sessuale e quant’altro sulle persone da assumere.

E’ evidente, a questo punto, che questa norma di tutela è elusa facilmente grazie ai social media e alla Rete e che, di fatto, può determinare  spiacevoli discriminazioni.  Questo pericolo lo riconosce lo stesso Citterio, mentre ricorda nel dettaglio alcuni dati della ricerca, ovvero che il 5 per cento degli HR manager del campione utilizza sempre la Rete per fare ricerca sulle persone da assumere e il 48 per cento a seconda dei casi. Insomma, ci troviamo di fronte un bel dilemma digitale: libertà di espressione o lavoro?

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