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Ibm, mainframe forever: è nato il progetto LinuxOne

Il colosso di Armonk si è alleato con Canonical per proporre due nuove “super macchine” capaci di supportare la distribuzione Ubuntu. Due le soluzioni: Emperor, basata sui z13, e l’entry level Rockhopper. L’azienda statunitense spera così di allargare la platea di utilizzatori di questi sistemi, invogliandoli con un modello pay per use, proprio mentre fa capolino l’iniziativa Open Mainframe Project, che vede in prima linea proprio Big Blue.

Pubblicato il 17 agosto 2015 da Alessandro Andriolo

I mainframe sono vivi e lottano insieme a noi. Ne è convinta Ibm, che sta spendendo tempo ed energie per spingere il più possibile verso l’alto le potenzialità di queste super macchine, ancora oggi molto diffuse presso le grandi organizzazioni. Ecco perché il colosso statunitense si è alleato con Canonical per la realizzazione di due nuovi mainframe capaci di supportare la distribuzione Ubuntu di Linux. L’obiettivo del progetto LinuxOne è portare la classica “apertura” del sistema operativo del pinguino sui mainframe, garantendo al tempo stesso flessibilità, scalabilità e un’architettura generalmente più semplice. Nello specifico, Ibm e Canonical – che vede in Ubuntu il proprio core business – hanno fatto capolino in queste ore sul mercato con due soluzioni differenti, una di livello maggiore e una per iniziati. Caratterizzato da un nome altisonante, l’Ibm Linux Emperor è pensato per i mainframe z13, presentati dalla casa di Armonk già nel 2014 e capaci di eseguire 2,5 miliardi di calcoli al giorno. Una macchina costata oltre un miliardo di dollari di investimenti, che si appresta quindi adesso a ricevere un sistema open come Linux.

Sia l’Emperor che l’entry level Rockhopper vengono offerti tramite una sottoscrizione mensile, con prezzi ovviamente variabili, e sono parte della strategia creativa di Ibm per sopravvivere in un mondo decisamente più dinamico rispetto agli anni “ruggenti” dell’informatica, quando dinosauri come Big Blue potevano fare il bello e il cattivo tempo. Lo stesso approccio a un modello di costo per utilizzo che richiama quello della maggior parte delle soluzioni cloud è segno di una svolta. L’azienda guidata da Ginni Rometty, secondo il general manager di Ibm Systems Ross Mauri, riesce ad aggiudicarsi ogni trimestre dai dieci ai venti contratti relativi ai mainframe.

L’obiettivo è allargare sempre più la platea, in particolar modo grazie all’integrazione offerta da Ubuntu Linux con altri progetti open source come Apache Spark, Node.js e MongoDb. La nuova possibilità per i clienti di affrontare le spese di utilizzo secondo una schema “pay per use”, evitando così gli enormi costi iniziali di implementazione di un mainframe, dovrebbe contribuire al successo di LinuxOne. E non è un caso che l’ente che si occupa del sistema operativo del pinguino, vale a dire la Linux Foundation, se ne sia uscita proprio in contemporanea con l’annuncio dell’iniziativa Open Mainframe Project.

 

 

Lo scopo del progetto è presto detto: aiutare tutte quelle realtà che vorrebbero passare a soluzioni mainframe, collaborando con loro per rendere meno traumatica questa trasformazione. E chi è uno dei principali e più attivi attori in questa iniziativa? Ibm, ovviamente, che ha già contribuito consegnando a questa comunità aperta ben 250mile linee di codice per mainframe. E non solo. Il colosso di Armonk fornirà anche un accesso libero a LinuxOne cloud, uno strumento di simulazione mainframe creato per testare applicazioni pensate appositamente per queste super macchine. L’obiettivo finale, in questo caso, è attrarre gli sviluppatori in ambiente Linux come api sul miele, convincendoli che i mainframe, pur avendo solide radici in un passato ormai remoto, possono ancora dire la loro.

 

Tag: ibm, mainframe, ubuntu, canonical, linuxone, z13

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