03/08/2022 di Redazione

Il retail abbraccia il digitale, i consumatori apprezzano sì e no

Uno studio di Vmware svela che in Italia il 51% dei consumatori amerebbe avere realtà aumentata o virtuale nei camerini dei negozi. Su chatbot e biometria l’apprezzamento è scarso.

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Oltre ai chatbot per il servizio clienti e all’uso di programmi di intelligenza artificiale per creare suggerimenti personalizzati, oggi altre tecnologie per il retail si stanno diffondendo, magari non con la stessa rapidità e scala, ma comunque incontrando un certo favore tra gli utenti. Tra pagamenti biometrici con impronta digitale, negozi senza casse (la regione Emea ne conta 18mila circa) nuove frontiere del metaverso, c’è sicuramente fermento. Dall’ultima edizione dell’annuale ricerca “Digital Frontiers”, commissionata da Vmware a YouGov (oltre seimila questionari raccolti in Italia, Regno Unito, Germania, Francia e Spagna) è emerso che nel nostro Paese il 51% dei consumatori apprezzerebbe poter usare dei  camerini con sistemi di realtà aumentata o virtuale, che permettano di visualizzare il risultato di un capo indossato (provando magari differenti taglie e varianti di colore) senza doverlo materialmente indossare. Arriva al 41%, invece, la percentuale di chi sarebbe disposto a pagare di più per i capi di abbigliamento la cui origine è stata analizzata e approvata tramite tecnologie specifiche per il Retail.

 

Interessante notare che queste percentuali sono leggermente più alte della media dei sei Paesi,  che su queste due domande è rispettivamente del 45% e del 35%. Dunque gli italiani sembrano essere particolarmente favorevoli allo shopping “digitalizzato”. Tuttavia, come emerso anche da altre ricerche, il bisogno di relazioni umane è ancora forte: soltanto il 12% degli italiani coinvolti in questa survey sogna un'esperienza di check-out completamente autonoma e solo il 21% lascerebbe che fosse un programma di intelligenza artificiale a fare la spesa per loro, selezionando i cibi e le bevande migliori e più salutari. Nel servizio clienti, inoltre, sette italiani su dieci ancora preferiscono poter interagire con altri esseri umani, al telefono o via chat, convinti del fatto che un chatbot non sappia offrire un livello di supporto paragonabile.


Un aspetto certamente critico, nel retail e nell’e-commerce ancor più che in altri ambiti, riguarda i dati dei consumatori, quelli anagrafici e quelli che descrivono i loro interessi, comportamenti e abitudini di acquisto. Dall’indagine di Vmware è risultato che solo un consumatore su dieci in Europa (in base alla media dei sei Paesi considerati) pensa di sapere esattamente come vengano utilizzati i suoi dati. Il 67% (e il 55% in Italia) ha detto di non sapere chi abbia accesso ai propri dati personali e come questi vengano usati; e il 61% pensa che l’uso dell’impronta digitale per i pagamenti presenti ancora troppi rischi.

 

“Il nostro studio ha rivelato anche che c'è un numero considerevole di persone che ha delle riserve su come, quando e dove viene utilizzata la tecnologia”, ha commentato Matthew O’Neill, industry managing director, global industry solutions group di Vmware. “Nonostante i progressi compiuti con la tecnologia, è chiaro che i retailer stanno camminando su una linea sottile, dove il successo richiede equilibrio, lungimiranza e grande attenzione. Da un lato, sia i consumatori sia i commercianti possono percepire i benefici del miglioramento del servizio, della velocità e della personalizzazione abilitati dalla tecnologia. Ma questo non può avvenire a tutti i costi. Si tratta di un delicato gioco di equilibri in cui più tecnologia viene integrata nel processo, più noi consumatori desideriamo, di contro, il contatto umano e fisico, la comprensione, l'empatia e l'attenzione che solo le persone possono dare”.

 

 

 


L’importanza dei dati nel retail
Quel che è certo - lo evidenzia anche Vmware, ma è una convinzione ampiamente condivisa tra i vendor tecnologici - è che della tecnologia i retailer non possono più fare a meno e in particolare non possono fare a meno dei dati. “Non tutti i retailer se ne sono ancora resi conto, ma i dati e il modo in cui vengono utilizzati sono l'unica chiave di lettura per misurare la propria sopravvivenza a lungo termine”, ha rimarcato O’Neill. “La loro influenza, infatti, si esercita in ogni interazione, dalle vendite al servizio, dagli sconti alle consegne fino ai resi e i rimborsi: i brand che saranno in grado di gestirli, analizzarli, comprenderli e agire di conseguenza saranno quelli che continueranno a crescere negli anni a venire”. Secondo le stime di Allied Market Research, su scala mondiale il mercato dei Big Data analytics nel settore retail è destinato a una forte crescita: nel 2020 valeva 4,85 miliardi di dollari, nel 2028 arriverà a 25,5 miliardi.

 

Nel report di Vmware si cita il caso di Carrefour: la catena della Gdo francese ha messo la tecnologia al centro della propria strategia di sviluppo. Nel concreto, questo significa adozione di nuove piattaforme digitali, adozione massiccia del cloud e uso estensivo dei dati in tutte le operations, finalizzato a creare per i clienti un’esperienza omnicanale.

 

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