23/08/2017 di Redazione

La virtualizzazione di Vmware migliora l'uso di Windows sui Mac

La prossima versione di Vmware Fusion, la 10, supporterà la Touch Bar dei MacBook Pro e sarà compatibile con macOS 10.13 High Sierra, oltre a garantire miglioramenti di efficienza energetica e di prestazioni grafiche. Annunciato anche il supporto dei Chr

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In fatto di virtualizzazione, Vmware non vuol essere seconda a nessuno. L'intento di far convivere armoniosamente sistemi Windows e Mac all'interno delle aziende o del lavoro degli sviluppatori, o meglio di portare il software di Microsoft sull'hardware di Apple, è ribadito con l'annuncio di Vmware Fusion 10 e di Vmware Fusion Pro 10. Si tratta delle nuove versioni dell'applicazione di virtualizzazione che consente, appunto, di eseguire Windows sui sistemi macOS. Ed è un annuncio che giunge quasi in contemporanea con quello dell'analoga soluzione di Microsoft, Parallels Desktop 13 per Mac.

Entrambe le novità di Vwmare fanno parte dell'offerta di hypervisor destinati ai sistemi Mac desktop, differenziandosi fra loro per prezzo e funzionalità aggiuntive (della versione Pro) e saranno disponibili dal mese di ottobre. Fusion 10, in realtà, permette di eseguire sui Mac non soltanto le più recenti versioni del sistema operativo di Microsoft (incluso Windows 10 con l'aggiornamento Fall Creators Update atteso in ottobre), ma anche una serie di distribuzioni di Linux.

Rispetto a precedenti release, le principali aggiunte riguardano la compatibilità con il futuro sistema operativo macOS 10.13 High Sierra, il supporto della Touch Bar dei MacBook Pro e quello della tecnologia di accelerazione grafica Metal 2 di Apple. Quest'ultimo elemento fa gioco soprattutto ai grafici, agli utenti AutoCad e agli sviluppatori di viodegiochi, che potranno beneficiare di maggiori prestazioni Gpu, minori consumi energetici e migliore accuratezza del rendering. Con Fusion 10, inoltre, Vwmare ha introdotto alcuni cambiamenti di interfaccia tesi a semplificare le procedure di installazione e migrazione.

I prezzi? Chi avesse appena acquistato (dal 22 agosto) o volesse acquistare adesso (fino al 1 novembre) le edizioni Fusion 8.5 o Fusion 8.5 Pro potrà eseguire gratuitamente l'aggiornamento, quando disponibile. Gli altri dovranno invece spendere 79 dollari per l'edizione standard o 159 dollari per la Pro, arricchita da funzionalità avanzate come la creazione di cloni collegati e completi, strumenti aggiuntivi per la gestione della rete, per la cifratura sicura delle macchine virtuali, per il collegamento a server vSphere/ESXi e vCloud Air. Nella variante Pro, inoltre, è stata potenziata la sicurezza con il supporto a nuove funzionalità di Windows 10 (come il Credential Guard and Device Guard per le macchine virtuali e un Trusted Platform Module virtuale).

Una curiosità: le nuove edizioni saltano a piè pari il numero 9 nella nomenclatura, non tanto per fare il verso alla scelta compiuta da Microsoft con Windows, quanto invece per rimarcare il decimo anniversario dal lancio della prima versione di Fusion.

 

 

In questi giorni Vmware ha anche annunciato una collaborazione con Google: d'ora in poi dal portale cloud Wokspace One gli amministratori It potranno gestire tutti i dispositivi Chrome OS da un'unica console. Per gestione si intendono non soltanto le attività di monitoraggio più basiche e il provisioning delle risorse, ma anche l'onboarding dei nuovi collaboratori, il tracciamento e controllo dei sistemi hardware, la cancellazione dei dati da remoto, la concessione o negazione di permessi per l'installazione o l'utilizzo di applicazioni.

Certo, una notizia relativa ai Chromebook risulta ancora soprattutto indirizzata alle aziende nordamericane, ma Sumit Dhawan, general manager della divisione End-User Computing di Vmware, ha sottolineato che “i sistemi Chrome OS continuano a guadagnare slancio, e per questo i nostri clienti desiderano poter gestire questi dispositivi in modo coerente rispetto a tutti gli altri endpoint, inclusi i dispositivi mobili”. L'idea vincente è sicuramente quella di offrire ciò che gli americani chiamano “unified end-point management” e che non è altro se non la capacità, sempre più necessaria, di gestire in modo semplice e rapido tutti i dispositivi usati in azienda a prescindere dalla tipologia, dal marchio o dal sistema operativo installato.

 

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