20/01/2016 di Redazione

Lavoro minorile, Amnesty punta il dito contro 16 colossi

La Ong ha stilato un report sulle condizioni dei minatori della Repubblica Democratica del Congo, che estraggono cobalto utilizzato da grandi gruppi hi-tech e dell’automotive per realizzare batterie. L’organizzazione non governativa ha chiesto a giganti c

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L’ombra dello sfruttamento del lavoro minorile si è allungata nelle ultime ore su alcuni colossi del mondo tecnologico, tra cui Apple, Samsung, Microsoft, Lenovo ed Lg. A puntare il dito contro 16 multinazionali dell’elettronica di consumo e dell’automotive è Amnesty International che, in nel report “This is what we die for” stilato insieme ad Afrewatch, ha ricostruito la filiera dell’estrazione di cobalto dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo, Paese produttore della metà del cobalto a livello mondiale. Questo metallo viene attualmente utilizzato nella realizzazione di batterie agli ioni di litio, diffusissime per esempio nei dispositivi mobili. Amnesty International ha chiesto ai 16 colossi di dimostrare che il cobalto estratto nella Rdc non viene attualmente utilizzato nei loro prodotti. Al momento, solo un’azienda avrebbe ammesso di rifornirsi dalla Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), colosso minerario cinese proprietario al 100% dell’estrattore locale Congo Dongfang Mining.

La filiera ricostruita da Amnesty è la seguente: i lavoratori congolesi, che operano per la maggior parte nella regione del Katanga nel sud del Paese, riforniscono la Huayou Cobalt, che trasporta poi il minerale in Cina e in Corea del Sud. Qui entrano in gioco tre grandi produttori di componenti per batterie: Toda Hunan Shanshan New Material (sussidiaria di Ningbo Shanshan), Tianjin Bamo Technology e L&F Material. Il “terzo livello” è costituito da altre aziende, che producono il prodotto finito per rivenderlo poi ai grandi player tecnologici.

Alcune, secondo il report, sono divisioni di gruppi famosi come Samsung Sdi, colonna del gigante di Seul adibita proprio alla produzione di batterie. Delle 16 compagnie citate nel documento, praticamente nessuna al momento è riuscita a fornire informazioni dettagliate sui rapporti con il colosso cinese, che ottiene circa il 40% del cobalto trattato proprio dalla Repubblica Democratica del Congo. Paese nel cui meridione, secondo alcune stime dell’Unicef, nel 2014 sono stati impiegati circa 40mila bambini come estrattori.

 

Photo credit: Amnesty International

 

L’indagine di Amnesty e Afrewatch è stata realizzata tra aprile e maggio del 2015 in nove miniere congolesi, intervistando novanta persone, di cui 17 erano minorenni. Insufficienti le misure di protezione come guanti, abiti adatti al lavoro e mascherine. Le conseguenze? Oltre alla morte per incidente, sono diffusissime malattie polmonari, asma, dermatiti allergiche e diminuzione delle funzioni respiratorie.

L’allegato al report include le risposte, spesso alquanto vaghe, delle compagnie citate. Apple, per esempio, alla domanda “Il cobalto contenuto nei vostri prodotti ha origine nella Rdc?”, ha risposto scrivendo “In corso di valutazione”. Idem per il quesito seguente: “Cdm o Huayou Cobalt sono presenti nella vostra supply chain?”, domanda a cui Huawei ha risposto con un “No” secco, ma non ha invece replicato sulle forniture congolesi del minerale (stesso comportamento di Samsung).

Microsoft, invece, non è stata in grado di affermare con “assoluta certezza” se il cobalto utilizzato nei propri prodotti provenga dal Katanga, in quanto tracciare la filiera “è molto difficile”. Tra chi respinge le accuse, però, Amnesty sostiene con certezza che cinque società clienti dei produttori di batterie si rivolgono attualmente al gigante cinese.

 

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