10/11/2016 di Redazione

Software defined e open source a braccetto per lo storage aziendale

L’Sds è la miglior soluzione per gestire l’esplosione dei dati aziendali, e il modello aperto proposto da SUSE è l’alternativa più efficace e sostenibile. Ce ne parla Gianni Sambiasi, country manager SUSE Italia.

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La produzione di informazioni da parte di utenti finali e aziende continua a crescere: ogni anno, ormai, a livello globale vengono creati zettabyte di dati (se ne stimano ben 40 entro il 2020). Cosa sta cambiando nelle imprese dal punto di vista della gestione di queste informazioni, sempre più “pesanti” ma estremamente rilevanti per affrontare i mercati di oggi e per far crescere il business? Fino a che punto si potrà arrivare con un approccio tradizionale, basato sul mero acquisto di capacità di storage? Di seguito trovate il punto di vista di Gianni Sambiasi, country manager SUSE Italia, su questi e altri argomenti.

 

Gianni Sambiasi, country manager Suse Italia

 

Non tutti i dati aziendali sono uguali e non vanno quindi trattati allo stesso modo. Un recente studio di Horison Information Strategies dimostra come l’80% delle informazioni in azienda faccia parte di tipologie per cui non è così indispensabile utilizzare sistemi di storage di tipo tradizionale: sono i dati grezzi, quelli originati dai backup, oppure quelli che costituiscono gli archivi utilizzabili a lungo termine.

Il restante 20%, la punta della piramide della “Data Capacity Utilization” in azienda, risiede nelle due fasce più “pregiate”, quella alimentata dai sistemi OLTP (Online Transaction Processing) e quella delle informazioni che vanno trattate con sistemi di storage ad altissime prestazioni.

L’aspetto più interessante dell’analisi è che la quantità dei dati delle fasce meno pregiate, ma non meno utili al business aziendale, cresce del 40% all’anno (pensiamo ad esempio ai dati generati dalle videocamere di sorveglianza), mentre il costo dei sistemi di storage tradizionali deputati a contenerli e a trattarli diminuisce di “solo” il 20%. Questo gap tra volumi e costo aumenta di anno in anno e rende sempre più utile il ricorso ad architetture storage software defined al posto dei sistemi tradizionali.

Questo tipo di soluzioni è meno costoso, perché basato su architetture standard x86, ma soprattutto è largamente e facilmente scalabile: le aziende possono iniziare con un numero limitato di macchine per ampliare poi il parco a seconda del bisogno.

Per SUSE, il software defined storage rappresenta oggi un prodotto strategico. Entrato nel portafoglio delle soluzioni da circa un anno, ha abbracciato il progetto Open Source Ceph e, come è già successo per altre categorie di software, l’offerta SUSE gode di tutti i vantaggi del modello aperto (rapido aggiornamento tecnologico e costi contenuti), integrati in una veste “aziendale” che comprende ad esempio la stesura di una roadmap e il supporto tecnico.

SUSE Enterprise Storage è un prodotto che recepisce le logiche dell’Open Source, permettendo a un numero sempre maggiore di aziende di liberarsi dai lock-in, risparmiare e guadagnare agilità. Ma non solo: una volta implementate, queste architetture sono “autoriparanti” e autogestite, perché gli errori vengono risolti grazie ad algoritmi estremamente raffinati e i carichi sui nodi vengono bilanciati direttamente dal software, senza l’intervento umano.

Si tratta di una soluzione erogata attraverso il canale dei partner specializzati (gli integratori di sistemi), ma che vede anche la collaborazione di un importante hardware vendor come HPE.

Al momento, le soluzioni storage di tipo software defined sono la scelta ideale per le organizzazioni che abbiano una richiesta di memorizzazione medio alta, come quelle che offrono servizi di archiviazione e backup o che producono giornalmente grandi quantità di dati (emittenti televisive, ospedali e così via), ma presto la diffusione di questi sistemi sarà capillare, perché ogni giorno che passa diventano più convenienti e più robusti rispetto alle soluzioni storage di tipo tradizionale.

 

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