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Tecnologie, nuovi spazi e cultura: i pilastri del lavoro ibrido

Cisco è un perfetto esempio di adozione dei nuovi modelli di lavoro, come mostrano la radicale trasformazione dell’ufficio di New York e l’esperienza del progetto Venywhere.

Pubblicato il 06 febbraio 2023 da Valentina Bernocco

Da ormai quasi tre anni l’espressione “lavoro ibrido” è entrata nel lessico del mondo del lavoro, ma ancora se ne discute. Un segno, probabilmente, del fatto che la corsa allo smart working durante i lockdown del 2020 e la successiva conciliazione con il modello lavorativo tradizionale (in un mix di attività da remoto e in presenza) non ha ancora trovato un assetto ideale. Le tecnologie hanno giocato un ruolo essenziale tra reti Internet, webcam, applicazioni cloud e piattaforme di Unified Communication and Collaboration che hanno permesso (e permettono) di essere produttivi e “connessi” ovunque ci si trovi. La cultura aziendale ha cominciato a trasformarsi, con velocità ed esiti disparati a seconda del contesto, del tipo o dimensione d’azienda. E se ancora a inizio 2023 continuano a essere realizzati studi e sondaggi su questo tema, allora la questione è tutt’altro che stabile. E tutt’altro che ideale.

Cisco ha molto da dire a riguardo. Innanzitutto perché l’azienda è sinonimo di networking, dunque di tecnologie che permettono connettività, scambio di dati, funzionamento continuo delle applicazioni, gestione e difesa delle reti. E in secondo luogo perché la stessa Cisco è un esempio di trasformazione nel segno del lavoro ibrido.


La trasformazione di Cisco
A New York, la sede storica dell’azienda è stata riprogettata da zero negli spazi e nelle logiche di utilizzo, sfruttando al meglio (come è naturale che sia) le tecnologia della stessa Cisco. Quell’ufficio oggi non è più “la terra della disperazione e della tristezza”, come ironicamente lo chiamavano i dipendenti, e come ha raccontato Mark Miller, director, global collaboration center of excellence di Cisco. Collegato in diretta streaming con Milano (e più precisamente con il Cyber Security Co-innovation Center di Cisco, ospitato all’interno del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci), Miller ha illustrato la rivoluzione di tecnologie, layout, ma soprattutto di cultura e di modelli lavorativi realizzata nel post pandemia.


L’ufficio di New York, all’interno di un edificio storico, è occupato da Cisco dal 2005 e per più di 15 anni non erano stati fatti lavori di ammodernamento. Per molto tempo è stato usato principalmente per le attività di vendita e per ospitare un Customer Experience Center, ma già prima della pandemia l’azienda aveva deciso di trasformarlo. I lavori di ammodernamento veri e propri sono però partiti solo ad aprile del 2020 e a distanza di due anni gli oltre 500 dipendenti Cisco dell’area metropolitana di New York hanno trovato un ufficio totalmente rivoluzionato, che l’azienda definisce come  un “centro per i talenti e la collaborazione”.

 

L'ufficio di New York (foto: Cisco)


Oggi è uno spazio moderno, ipertecnologico, luminoso, dove non esistono postazioni fisse bensì una molteplicità di aree dedicate al lavoro da scrivania, alla collaborazione, alle riunioni in presenza o videoconferenza, grandi e piccole, e ancora spazi per il relax e le relazioni sociali. Se prima il 7% degli spazi era dedicato a postazioni individuali e il 30% alla condivisione, ora il rapporto è ribaltato. Al posto di poche sale riunioni di grande dimensioni sono state create molte postazioni per la collaborazione (e la video collaborazione) per un massimo di sei persone, mentre altri spazi sono diventati moderne aule per attività di formazione. 


“La nostra policy è di non avere policy”, ha spiegato Miller. “Ognuno può scegliere quanto spesso recarsi in ufficio e abbiamo scoperto che i frequentatori più assidui sono i dipendenti più giovani, che vengono in sede soprattutto per relazionarsi con noi, con quelli della mia generazione, e per apprendere dalla nostra esperienza”.


C’è ovviamente una grossa dose di tecnologia: una rete di access point e switch, webcam, sistemi di videoconferenza completi, postazioni per le videochiamate con Webex, monitor e i grandi schermi su cui si accede a Cisco Spaces, un’applicazione (già nota come Cisco Dna Spaces) che permette di avere un colpo d’occhio sugli spazi liberi, sui livelli di occupazione delle sale e anche su parametri ambientali come temperatura, umidità e rumore. Tutti dati che, raccolti e analizzati, possono servire all’azienda per comprendere come utilizzare al meglio gli spazi e quali parametri impostare (riscaldamento, occupazione delle sale, eccetera) per garantire il miglior ambiente di lavoro possibile senza eccedere nei consumi.
 

Una installazione di Cisco Spaces (già Cisco Dna Spaces) nell'ufficio di New York

 

La soluzione si integra con gli access point di Cisco, le videocamere Meraki, le installazioni Webex, i sensori di rilevamento della temperatura e della qualità dell’aria. Inoltre espone delle Api per integrazioni ulteriori. “La piattaforma è meeting-agnostica, cioè permette di avviare riunioni video non solo con Webex ma anche con Teams, Zoom, Google Meet e persino con Whatsapp e Facetime”, ha illustrato Enrico Miolo, collaboration sales specialist di Cisco.

L’Italia è terreno fertile?

Una installazione di questo tipo trova terreno fertile in Italia? Il progetto newyorkese di Cisco può adattarsi forse a una grande azienda, con generosi budget da spendere, ma può anche fungere da modello per iniziative su scala ridotta. I tempi di difficoltà economica non aiutano, ma d’altra parte i progetti di smart building (anche favoriti dagli incentivi fiscali) in Italia non sono più casi isolati. A detta di Michele Dalmazzoni, director, collaboration South Europe di Cisco, lo smart workplace è una tendenza “già arrivata altrove in Europa, e crediamo arriverà anche in Italia”.

 

 

Michele Dalmazzoni, director, collaboration South Europe di Cisco

 

“Il nostro approccio è quello di giocare d’anticipo”, ha spiegato Dalmazzoni. “Lo abbiamo visto con il cloud: molte aziende dicevano di non essere pronte ma alla fine il modello è stato adottato. Inoltre oggi c’è il tema della sostenibilità, che è una fortissima spinta, insieme a quello del risparmio energetico”. Un sistema come Cisco Spaces consente di raccogliere dati sulla temperatura e sull’occupazione degli spazi, che diventano preziosi per la pianificazione dei consumi energetici. Inoltre le tecnologie di rete di Cisco utilizzano l’interfaccia Power over Ethernet (PoE) sia per l’alimentazione sia per il trasferimento dati su un unico cavo, con vantaggi di risparmio energetico.


Venywhere, un esperimento da ripetere

La flessibilità e la libertà tipiche dello smart working possono andare d’accordo con la produttività? Sono un vantaggio solo per i professionisti o anche per le aziende? Il progetto sperimentale Venywhere, portato avanti da Cisco con la Fondazione, l’Università Ca’Foscari l’incubatore di startup H-Farm, ha dato risultati incoraggianti. L’anno scorso un gruppo composto da 16 dipendenti Cisco si è trasferito a Venezia per tre mesi, per lavorare da spazi di coworking attrezzati all’interno di edifici di grande pregio storico e architettonico della città lagunare. Le settanta giornate lavorative sono state punteggiate da oltre duemila meeting. 


Ora è tempo di bilanci, e sono positivi.”I dipendenti Cisco mandati a Venezia hanno performato mediamente meglio degli altri”, ha raccontato Gianpaolo Barozzi, director, purpose innovation dell’azienda. “Abbiamo visto che l’hybrid work, se gestito bene, con la giusta tecnologia e cultura, può essere un’opportunità per le persone”. Che cosa serve per “gestire bene” il lavoro ibrido?

 

 

 


L’esperienza di Venywhere è servita anche per identificare quattro aspetti necessari: una relativa comodità nel raggiungere il posto di co-working (idealmente si punta al modello di “città in 15 minuti”); la flessibilità sia negli orari sia negli spazi di lavoro; i valori dell’autonomia e della fiducia, da cui derivano maggiore innovazione e coinvolgimento dei dipendenti; una “prossimità digitale”, garantita dalle tecnologie che permettono di comunicare e collaborare a distanza. “Il lavoro ibrido per funzionare deve avere nuovi spazi, una nuova cultura, che forma una nuova leadership, e tecnologie capaci di supportare il lavoro a distanza", ha sintetizzato Barozzi.

“Venywhere”, ha proseguito il manager, “è il prototipo degli sviluppi che vogliamo portare avanti. Lo abbiamo destrutturato, abbiamo capito gli elementi fondamentali che lo hanno fatto funzionare e stiamo mettendo in piedi dei Purpose Labs. Stiamo identificando alcuni territori e comunità in cui ricostruire questo tipo di modello. Ci sarà una Venywhere 2.0 sempre a Venezia ma realizzata con altri partner, per dare l’opportunità ad altre aziende di attrarre persone sul territorio”. Cisco, inoltre, avvierà un’iniziativa analoga nell’isola di Rodi, due negli Stati Uniti e uno in Sud Italia (ancora non è stato comunicato dove) e inoltre ci sono progetti sull’Africa.


 

Tag: cisco, lavoro, smart working, lavoro ibrido

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