L’ultima notizia riguardante Elon Musk e OpenAI dà ragione al motto “chi disprezza compra”, ma meglio sarebbe dire che chi ostenta disprezzo vorrebbe, in realtà, comprare. Un consorzio di investitori guidato dall’imprenditore sudafricano ha offerto 97,4 miliardi di dollari per acquisire la società non-profit che controlla OpenAI. Ma l’ipotesi è già sfumata: l'amministratore delegato e fondatore Sam Altman ha detto no, ribattendo su X (ironicamente, la piattaforma social di Musk): “No, grazie, ma compriamo noi Twitter per 9,74 miliardi di dollari se vuoi”.
Una doppia stoccata quella realizzata da Altman in una sola frase, in cui chiama la piattaforma social con il suo vecchio nome e offre un decimo del valore proposto per acquistare OpenAI. In poche parole c’è tutto il livore, e forse anche un po’ di battibecco infantile, tra due ex startupper ed ex colleghi diventati entrambi imprenditori miliardari, punta dell’iceberg di quella tecnoplutocrazia di cui oggi si parla. Amici stretti del potere politico, già ben inseriti nella seconda era Trump, ma comunque almeno a parole molto distanti tra loro per filosofia imprenditoriale e tecnologica.
Le critiche e frecciatine tra i due si sono ripetute negli ultimi anni, specie sul tema della natura no-profit di OpenAI, che a detta di Musk sarebbe stata tradita. Nell’agosto del 2024 Musk aveva fatto causa a Sam Altman e Greg Brockman, rispettivamente Ceo e presidente di OpenAI, proprio per la presunta “violazione di contratto” compiuta trasformando la startup in una società a scopo di lucro e in una “succursale di Microsoft”. Nel mese di novembre, poi, aveva chiesto a un giudice distrettuale di bloccare con un’ingiunzione preliminare la trasformazione di OpenAI in società profit.
All’indomani del boom di ChatGpt, il patrono di Tesla e di SpaceX non aveva nemmeno risparmiato più ampie critiche all’AI generativa e ai Large Language Model (con tanto di firma su una petizione che chiedeva di interrompere lo sviluppo di modelli troppo avanzati), salvo poi lanciare su X il proprio chatbot “politicamente scorretto”, Grok. Più di recente le critiche si sono scagliate contro Stargate, il progetto da 500 miliardi di dollari che vede coinvolte OpenAI, Softbank, Oracle e un fondo d’investimento di Abu Dhabi: l’obiettivo è costruire nei prossimi anni una ventina di data center negli Stati Uniti, a beneficio soprattutto dell’intelligenza artificiale di OpenAI (ma inserendovi tecnologia di Oracle, Microsoft, Nvidia, Arm). Musk ha lanciato una provocazione su X, sostenendo che non ci sarebbero i soldi per portare a termine il progetto.
Tralasciando ogni opinione personale su Musk, è chiaro che se una tecnologia potente come quella di OpenAI finisse nelle mani dell’uomo più ricco al mondo, braccio destro del presidente degli Stati Uniti, i conflitti di interesse non si conterebbero. E sarebbe lecito preoccuparsi di una deriva “politica” di OpenAI o comunque di uno sconvolgimento delle regole etiche e operative della sua piattaforma, così come si è visto con Twitter. Per ora il tentativo di comprare OpenAI pare fallito miseramente, con tanto di pubblico scherno.