App per Android e Facebook, ancora un problema di privacy
Un test eseguito da una società no-profit britannica ha dimostrato che, su 34 applicazioni, 23 inviano al social network dati sull’utente e sul dispositivo. Kayak è quella più “ficcanaso”.
Pubblicato il 02 gennaio 2019 da Redazione

Poteva il 2019 cominciare senza un problema di privacy violata legato a Facebook? Uno studio presentato all’annuale conferenza Chaos Communication Congress, che ha trovato megafono in Zdnet dopo Capodanno, ancora una volta dimostra illeciti comportamenti da parte delle app esterne collegate al social network, ma anche a Google. Privacy International, società no-profit britannica, ha eseguito test su 34 applicazioni Android per capire a quali dati degli utenti avessero accesso, se nel rispetto dei termini d’uso dichiarati oppure no.
Delle 34 applicazioni osservate (con un bacino d’utenza compreso fra dieci e 500 milioni di download su dispositivi Android), ben 23 inviano a Facebook dati di vario genere: informazioni sull’apertura di app, modello di smartphone o tablet impiegato, impostazioni di linguaggio e fuso orario. Fin qui, forse, nulla di terribilmente lesivo della privacy, ma a preoccupare è la generale diffusione del metodo. Alcune app, inoltre, accedono al codice identificativo con cui Google “traccia” gli utenti a scopi di advertising.
Menzione a parte merita Kayak, un’applicazione di prenotazione viaggi, hotel e noleggio auto. Come svelato dal test, l'applicazione trasferisce a Facebook i dati delle ricerche eseguite al suo interno: destinazioni cercate, città di partenza e arrivo dei voli, date del viaggio. Il meccanismo è attivo sia che in quel momento l’utente risulti loggato nel social network sia che non abbia eseguito l’accesso.
Privacy International si è detta “enormemente preoccupata” del modo in cui i dati degli utenti vengono “sfruttati” dai sistemi di back-end di Facebook e di Google. Ma la società di Menlo Park non ha tardato a replicare a tale valutazione, sottolineando come i dati raccolti dalle app terze servano a migliorare l’offerta di servizi di analytics e di advertising per gli sviluppatori. Questi ultimi, ha spiegato Facebook, ricevono dati aggregati (che dunque non violano la privacy dei singoli) per migliorare e personalizzare l’esperienza d’uso delle loro app.
Chissà se queste generiche rassicurazioni e l’attesa funzione Clear History basteranno nel 2019 a far dimenticare tutti i problemi dell’anno scorso, fra cui le rivelazioni del New York Times sui presunti favoritismi concessi a Apple, Samsung e altre società “amiche”.
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