27/03/2020 di Redazione

Applicazioni, infrastruttura, sicurezza: questa è davvero una rivoluzione

L’emergenza sanitaria del coronavirus e il conseguente spostamento delle aziende verso lo smart working “di massa” provocherà cambiamenti profondi sui modelli di business e sulle tecnologie necessarie a sostenerli. Ne è convinta F5 Networks.

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Fare di necessità virtù, imparando a utilizzare lo smart working e anche ad apprezzarne i vantaggi: è quanto le aziende italiane sono chiamate a fare, oggi nei giorni dell’emergenza del coronavirus, e delle conseguenti misure di sicurezza varate dal governo. Le nostre imprese partono da uno scenario piuttosto immaturo, tant’è che molte si trovano costrette ora un po’ a “improvvisare”: in Italia, secondo i dati del Politecnico di Milano, nel 2019 solo poco più di mezzo milione di lavoratori ha operato da remoto e in modo flessibile, e per molti di loro il modello di smart working tipico si applica solo a una manciata di giorni al mese (quattro oppure otto). Insomma, fino a ieri il lavoro da remoto era per i più una modalità occasionale, oppure riservata ad alcune categorie professionali. Oggi, come sappiamo, tutto sta cambiando tumultuosamente. 

F5 Networks, società leader nel mercato dell’application delivery (in Italia il suo market share è di circa il 70%), da anni rimarca la crescente importanza delle applicazioni: per le aziende, sono il veicolo dei servizi offerti alla clientela, ma anche lo strumento su cui poggiano molti dei processi e delle attività interne. Smart working incluso. L’ultima edizione, appena pubblicata, dell’annuale report “State of Application Services” svela che nell’area Emea il 91% delle organizzazioni sta realizzando progetti di trasformazione digitale, ed è una percentuale ancor più alta di quelle registrate per gli Stati Uniti (84%) e per la regione dell'Asia-Pacifico, Cina e Giappone (82%). Peraltro si tratta di un dato di media sui diversi settori di mercato inclusi dall’indagine, per la quale sono stati intervistati 2.600 professionisti di azienda (525 in Emea).

Ovunque la tendenza ad avviare progetti di Digital Transformation è in crescita di anno in anno: le aziende mirano a velocizzare il lancio di nuovi prodotti e servizi (risposta citata dal 61% degli intervistati), ad adattarsi più rapidamente ai comportamenti dei clienti (40%) e a meglio fronteggiare i concorrenti emergenti (33%). Tra i vantaggi associati alla trasformazione digitale spiccano l’ottimizzazione dell’IT (per il 64% del campione), l’ottimizzazione dei processi aziendali (55%), il miglioramento della produttività dei dipendenti (47%), il vantaggio competitivo (45%) e l'ingresso in nuovi mercati (43%).

Ma oggi, nel mondo post-coronavirus, è ancora valido tutto questo? Certamente sì, però a tutte queste dinamiche si è sovrapposta quella, impetuosa, della corsa allo smart working. Le aziende che finora non sono state lungimiranti dovranno correre ai ripari, adottando nuove applicazioni (videoconferenza, messaggistica, piattaforme cloud per la creazione e condivisione di documenti, webmail, ecc.) ma anche modificando le proprie infrastrutture informatiche affinché possano reggere il peso del lavoro da remoto “massiccio” e improvviso. “Senza un’infrastruttura in grado di gestire i servizi le applicazioni non funzionano”, spiega a Ictbusiness Maurizio Desiderio, country manager di F5 Networks. “Nonostante sia appena stato pubblicato, i dati del nostro report sono già da considerarsi obsoleti vista la situazione che stiamo affrontando. Ciò che sta accadendo in questo momento non fa che accelerare un processo di digitalizzazione iniziato da qualche anno”. 

Tale processo per molti clienti italiani di F5 è coinciso, innanzitutto, con l’adozione di reti Vpn (Virtual Private Network) atte a garantire accesso sicuro alle applicazioni aziendali, anche da remoto e tramite dispositivi esterni alla rete. “La maggior parte dei nostri clienti enterprise è dotata di Vpn”, racconta Desiderio, “ma abbiamo iniziato ora nuovi progetti con clienti che non le avevano. Prima d’ora, in ogni caso, nessuna azienda aveva mai pensato di poter diventare totalmente virtuale. Molte in passato avevano fatto investimenti infrastrutturali che potessero sostenere una certa percentuale di dipendenti in smart working, ma ora quella dotazione non è più adeguata. Oggi c’è una necessità di maggiore capacità e scalabilità dell’infrastruttura per poter gestire tutto il traffico”. 

 

Maurizio Desiderio, country manager di F5 Networks

 

Accanto al problema della capacità dell’infrastruttura c’è quello della sicurezza, inevitabilmente resa più fragile dalla frammentazione tipica del lavoro smart: i dispositivi, gli utenti e i punti di accesso si moltiplicano, su un ambiente IT già di per sé eterogeneo (non dimentichiamo che il modello architetturale ormai prevalente è il cloud ibrido, quasi sempre composto da servizi di differenti fornitori). “In passato”, riflette il country manager di F5, “le aziende hanno affrontato questioni relative ad applicazioni, infrastrutture e sicurezza con iniziative distinte. Oggi è diventato più chiaro come tutte queste componenti siano fuse tra loro. Le aziende iniziano a capire che gli espedienti adottati in passato hanno dei legami fortissimi tra di loro”. 

Dunque l’improvvisa corsa allo smart working, un obbligo per molte aziende, scuole ed enti della Pubblica Amministrazione italiani costretti al lockdown, sta già producendo degli effetti sulle strategie di aggiornamento tecnologico di tutti questi soggetti. Sorge spontanea una domanda: da estemporaneo, il fenomeno è destinato ad avere impatti di lungo termine, forse irreversibili? Maurizio Desiderio ne è convinto: “Cambierà l’intero ecosistema, cambierà il modello di business delle aziende. Molte già adesso sono state costrette a reinventarsi e ad attivare nuovi servizi, come l’e-commerce e la consegna a domicilio. Altre cercheranno di farlo e in questo processo chi sarà più lungimirante e innovativo potrà derivarne grandi vantaggi. Potranno esserci enormi opportunità per alcuni ed enormi rischi per altri”.

 

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