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Email dei lavoratori controllate: l'Europa dice sì (con limiti)

Da Strasburgo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il datore di lavoro può sorvegliare le comunicazioni sul Web dei dipendenti, ma solo previa notifica di questa eventualità e rispettando alcuni limiti nei tempi e modi del monitoraggio.

Pubblicato il 06 settembre 2017 da Redazione

Il controllo, sì. La curiosità a briglia sciolta e l'invasione di privacy, no. La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strarburgo si è espressa sul tema dell'accesso dei datori di lavoro alle comunicazioni Web dei dipendenti, in particolare alla posta elettronica, agli strumenti di messaggistica e a Internet. Un tema controverso, che chiama in ballo da un lato la necessità per chi dà lavoro di verificare la buona condotta del collaboratore, e dall'altro il diritto alla privacy. Il dettaglio più importante è l'obbligo di avvisare in anticipo il dipendente di questa possibilità: la notifica dev'essere data per tempo e deve specificare la natura e durata dei controlli eventualmente previsti.

Il monitoraggio, inoltre, deve tendere ai soli fini del controllo della produttività e del rispetto delle regole: il datore ha il diritto di sapere se il tempo lavorativo viene speso bene o meno, ma non può invadere la sfera privata delle persone indugiando in scopi che esulano da quelli dichiarati nella notifica o prolungando nel tempo i controlli. Va fatta distinzione, infine, tra il flusso delle comunicazioni e il loro contenuto, perché una cosa è accertarsi di quali siano mittente, destinatario e oggetto di una email, altra è indugiare nella lettura dei messaggi.

La sentenza, votata ieri con maggioranza di undici contro sei, ha ribaltato una precedente decisione di un tribunale rumeno, risalente addirittura a dieci anni fa. Nel 2007 un ingegnere all'epoca ventisettenne, Bogdan Mihai Barbulescu, era stato licenziato per aver usato dal posto di lavoro Internet, telefono e fotocopiatrice per fini personali, violando le regole interne aziendali. All'epoca i giudici avevano dato torto all'ingegnere, mentre ora la corte di Strasburgo ha affermato che è stato violato l'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, quello che tutela il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.

 

 

Gli ex datori di lavoro, infatti, “non hanno protetto in maniera corretta il diritto di Barbulescu” e non hanno gestito “in modo equilibrato gli interessi in gioco”. Il povero ingegnere all'epoca aveva osato chattare con la fidanzata e con il fratello utilizzando il Pc aziendale e, non contenti di aver verificato il fatto, i datori di lavoro avevano pensato di salvare una trascrizione dei messaggi stessi, da esibire come prova. Un po' troppo, specie se si pensa all'attuale e quasi inevitabile commistione tra sfera personale e professionale in moltissimi strumenti tecnologici usati anche per lavorare: la sempreverde email, ma anche Skype, WhatsApp e addirittura Facebook. La sentenza di Strasburgo, allora, riporta un po' di equilibrio e di tranquillità in un universo lavorativo sempre più dominato dalla tecnologia.

 

Tag: privacy, europa, lavoro, email, aziende, tribunale, chat

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