08/03/2019 di Redazione

Gender gap: le aziende (e non le donne) devono cambiare

La disparità di trattamento nelle assunzioni, nella carriera e nel salario è innanzitutto una questione di prospettiva e di cultura aziendale. Ce ne parla Alexandra Anders, talent director Emea di Cornerstone.

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Nel giorno della festa della donna, ma non solo in quello, è doveroso interrogarsi sul gender gap. Un tema di cui in realtà si parla non poco, ma spesso soltanto per frasi fatte. A che punto siamo davvero con la parificazione delle opportunità lavorative (e dei salari)? Davvero ancora esiste una differenza di trattamento che penalizza le donne nel mondo del lavoro? Chi di lavoro se ne intende ci regala qualche spunto di riflessione e qualche consiglio su come le aziende potrebbero e dovrebbero superare le attuali disuguaglianze. Ce ne parla Alexandra Anders, talent director Emea di Cornerstone, società specializzata in soluzioni e servizi per le risorse umane.

 

 

Alexandra Anders, talent director Emea di Cornerstone

 

 

Le donne costituiscono la metà della popolazione mondiale, 49,5%, ma ancora oggi sul posto di lavoro sono considerate e descritte come una minoranza. La disparità di genere è confermata dalle recenti rivelazioni sulle differenze salariali, o gender pay gap: non solo non diminuiscono, ma continuano ad allargarsi. In Regno Unito, ad esempio, una recente indagine svolta dalla Bbc indica che nel 74% delle aziende le donne sono pagate meno degli uomini e che in tutti i settori gli uomini mediamente guadagnano di più. Inoltre come mai, ai vertici delle aziende, ci sono così tanti uomini e così poche donne? Le storie e il lavoro di alcune donne eccezionali che, contro tutti e tutto, hanno raggiunto enormi successi possono certo essere fonte di ispirazione, ma perché le donne per fare strada sono costrette a essere spettacolari? Vogliamo parlare delle donne che, semplicemente, svolgono bene il proprio lavoro? Perché dovrebbero essere trascurate?

 

Da un recente studio condotto da Hewlett Packard risulta che le donne si candidano per un lavoro solo se pensano di soddisfare tutti i requisiti, diversamente dagli uomini, ai quali basta soddisfarne il 60% per pensare di essere idonei. Già in partenza, dunque, le donne stesse si trattengono dal candidarsi per un ruolo; di conseguenza, se mancano candidature femminili, le aziende dovranno per forza assumere un uomo. Ricordo di avere organizzato una giornata di selezione per la quale ci aspettavamo candidate donne, ma in realtà nessuna si presentò: una mortalità del 100%. Questo mi fece pensare. Perché è successo? Che cosa abbiamo sbagliato? Molte aziende dovrebbero porsi le stesse domande. Modificare completamente un atteggiamento o un comportamento non è qualcosa che si può fare dall’oggi al domani, ma le imprese potrebbero cominciare subito a cambiare il loro approccio.

 

Cambiare prospettiva

Per prima cosa, le aziende devono imparare a essere consapevoli delle differenze di prospettiva e di atteggiamento. Analizzate le pratiche attualmente usate per la selezione e stabilite come i potenziali candidati vedono la vostra azienda. Quando compilate le specifiche per un dato lavoro, ad esempio, che tipo di messaggio e di frasi usate? Chiedete ad altri di dare un’occhiata alle vostre inserzioni: qualcuno che non lavora nel dipartimento HR o, meglio ancora, qualcuno che non lavora per la vostra azienda. Qual è l’impressione che fornite? Naturalmente dovrete “vendere” la vostra azienda per attirare i migliori candidati, ma questa tattica rischia allo stesso tempo di allontanarne alcuni. Anziché esagerare, dovrete incoraggiare le persone a candidarsi, mostrando realmente che cosa significhi lavorare per voi e che le opportunità sono davvero uguali per tutti.

 

Analogamente, per le imprese è fin troppo facile cadere nella trappola di assumere candidati simili a loro. È del tutto naturale cercare caratteristiche comuni e farsi rassicurare da una forma di validazione personale subconscia, ma bisogna sforzarsi di non farlo. Se i manager maschi cercano di assumere versioni di se stessi con vent’anni di meno, il problema si perpetuerà nel tempo. Non crediate che ciò serva a proteggere la vostra cultura, al contrario, la danneggerà.

 

Stabilire delle regole

Avere processi per valori accettati da tutti significa che ciascuno deve sentirsi trattato allo stesso modo. Ad esempio, un passo molto semplice, ma vitale, che le aziende spesso trascurano è rivedere i salari in base al ruolo, non in base agli individui. Poniamo che intervistiate un uomo che chiede oltre 100.000 euro e una donna che si accontenterebbe della metà: potreste assumerli entrambi col salario richiesto ed entrambi sarebbero contenti. Ma questo causerebbe un problema, perché continuerebbe a esistere una differenza di stipendio all’interno dell’azienda. La retribuzione dovrebbe essere determinata dal ruolo e dal livello.

 

Questo cambiamento non deve fermarsi alla fase di selezione. Non ci si può sedere pensando che il lavoro sia completato. In risposta alle recenti rivelazioni sui gap salariali, molte delle aziende finite sotto i riflettori hanno risposto dichiarando la volontà di aumentare la diversità nei vari ruoli e di spingere sull’assunzione di donne. Ma il punto non è questo. Se c’è una spinta all’inserimento di talenti donne al livello base, ciò non farà altro che allargare il gap salariale. Le aziende devono guardare ai talenti esistenti al loro interno, verificare come promuovono lo staff interno e se lo fanno in maniera equa.

 

Allo stesso modo in cui sono riluttanti a candidarsi per un lavoro, le donne potrebbero non rendersi disponibili per una promozione. Per combattere questo atteggiamento, come per il salario, i criteri e gli obiettivi che i dipendenti devono soddisfare per progredire nella carriera devono essere definiti chiaramente e comunicati a tutti i ruoli e a tutti i livelli. Ciò serve a garantire che le condizioni siano le stesse per tutti e a eliminare il potenziale problema di quelli che urlano più forte.

 

Accogliere le diversità

La radice del problema potrebbe risiedere più in profondità, portando a dover affrontare la questione della cultura aziendale. Il principio delle regole uguali per tutti dovrebbe andare oltre il mero sviluppo dei dipendenti, per essere applicato all’organizzazione nel suo complesso. Certo, potranno esserci differenze culturali e policy locali, ma la domanda deve essere: che cosa significa lavorare per la vostra azienda?

 

Programmi di training e coaching per i manager sono fondamentali, in particolare per coloro che in precedenza hanno lavorato in team di soli uomini. Potrebbe essere sufficiente aiutarli a capire la realtà della situazione. Recandosi a una riunione con un cliente, potrebbe verificarsi quel momento in cui si “accende la lampadina” e il manager si rende conto di essere un gruppo di soli uomini: dove sono le donne? Rischia di essere leggermente imbarazzante il momento in cui ci si rende conto di essere del tutto fuori sintonia con le persone a cui si sta cercando di vendere qualcosa. Clienti e utenti saranno sia uomini sia donne, persone di diverse etnie e diversi background: così dovrebbe essere il team che lavora con loro. Queste diverse prospettive sono necessarie, se non altro per capire meglio i propri clienti.

 

È vero che attuare questi cambiamenti non è esattamente semplice, ci saranno sempre quelli contrari e quelli che non amano i cambiamenti. Non si tratta, però, di costringere le persone o di biasimarle. Si tratta di creare consapevolezza e discutere queste situazioni apertamente, cercando di capire le ragioni per cui le persone respingono il cambiamento e ascoltare le loro ragioni e perplessità. Il cambiamento si può realizzare solo se ci si muove tutti insieme. Oggi è la “giornata di tutte le donne”, non la “giornata delle donne eccezionali”, ed è ora che le organizzazioni abbandonino i comportamenti che soffocano la diversità.

 

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