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Google ha vinto: si chiude una battaglia decennale con Oracle

Lo scontro fra Google e Oracle sull’utilizzo delle Api di Java all’interno di Android giunge al termine. Per la Corte Suprema degli Stati Uniti non c’è stato alcun plagio.

Pubblicato il 06 aprile 2021 da Valentina Bernocco

La battaglia di Oracle contro Google, della proprietà intellettuale di Java contro la libertà di Android, giunge a una pietra miliare: in questa saga giudiziaria, che va avanti da un decennio, l’azienda di Mountain View ha ottenuto una vittoria importante. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato ragione a Google, stabilendo che nello sviluppare il codice del sistema operativo mobile non c’è stato alcun plagio, e che dunque non dovrà esserci alcun risarcimento per la violazioni di copyright. 

 

Oracle pretendeva di ricevere 9 miliardi di dollari, accusando Google di aver usato senza permesso 37 interfacce di programmazione applicativa (Api) di Java, corripondenti a oltre undicimila linee di codice, copiandone “la struttura, la sequenza e l’organizzazione”. Per Big G, al contrario, non ci sarebbe stato alcun plagio ma solo l’impiego di linee di codice software di uso comune, diffuse largamente sul mercato, al fine di creare innovazione.

 

Cominciata nel 2010 e transitata da vari processi e ribaltamenti di sentenze, negli anni la battaglia legale e mediatica ha raccolto sostenitori nei due schieramenti. Più volte è stato sottolineato come Java fosse diventato un prodotto open source per volontà della società sviluppatrice, Sun, poi acquisita da Oracle nel gennaio del 2010 per 9,5 miliardi di dollari. D’altra parte è naturale che l’azienda di Redwood abbia poi voluto difendere il proprio investimento facendo di Java un prodotto coperto da copyright.   Il punto di vista di Google è sempre stato imperniato sul diritto di utilizzo delle tecnologie di ampia diffusione e necessarie all’innovazione, secondo termini d’uso Frand (fair, reasonable and non-discriminatory).

 

Ora la precedente decisione di una Corte d’appello del marzo 2018, che aveva dato ragione a Oracle, è stata ribaltata. Con sei voti a favore e due contrari, la Corte Suprema ha stabilito che l’impiego delle Api di Java all’interno di una nuova interfaccia utente ha rappresentato “un utilizzo lecito”, dal momento che Google ha “preso solo ciò che era necessario per consentire agli utenti di mettere il loro talento maturato all’opera in un nuovo e innovativo programma”. Ovvero Android, il sistema operativo oggi installato su quasi il 72% dei dispositivi mobili in circolazione.

 

Dura la reazione di Oracle, che ha sottolineato come da questa sentenza il monopolio di Google esca ancor più forte. “Hanno rubato Java e speso un decennio in battaglie legali come solo un monopolio può fare”, si legge in una nota dell’ufficio stampa di Redwood. “Questo comportamento è esattamente la ragione per la quale le autorità mondiale e negli Stati Uniti stanno esaminando la pratiche aziendali di Google”.

 
Tag: copyright, google, java, silicon valley, oracle, android, brevetti, cause legali

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