Ibm e Red Hat insieme nel “secondo capitolo” della storia del cloud
Ginni Rometty ha illustrato agli investitori la strategia con cui, dopo l’acquisizione di Red Hat, l’azienda mira a conquistare quell’80% di workload ancora non poggiati sul cloud.
Pubblicato il 05 agosto 2019 da Valentina Bernocco

Ibm e Red Hat sono pronte a scrivere, insieme, il “secondo capitolo” della storia del cloud. Nel primo, le tecnologie di nuvola nelle loro varie forme hanno colonizzato circa il 20% dei carichi di lavoro informatici delle aziende, ma “l’80% deve ancora essere spostato in un ambiente di cloud ibrido”, ha affermato il Ceo di Ibm, Ginni Rometty, in un webcast indirizzato agli investitori. D’altra parte non era mistero che l’acquisizione da 34 miliardi di dollari (la più dispendiosa di sempre per Ibm) puntasse sì all’integrazione delle tecnologie open source di cui Red Hat è specialista, ma ancor di più mirasse allo sviluppo di nuovi servizi cloud da proporre ai clienti di Ibm.
Ora il concetto è stato ribadito con maggiore chiarezza, insieme a qualche promessa di crescita dei conti nel medio periodo. Nel giro di un paio di anni, dal 2021, dalle attività di Red Hat si otterranno 3 miliardi di dollari di fatturato extra e 1,5 miliardi di dollari di flusso di cassa libero aggiuntivi, ma per il momento Ibm e i suoi investitori devono stringere i denti, perché l’azienda è reduce da 22 trimestri consecutivi di decrescita (l’ultimo dei quali dovuto, a detta della società, ad aggiustamenti stagionali e alla vendita di alcuni asset). Nel secondo quarter del 2019, in particolare, i 19,2 miliardi di dollari di fatturato hanno rappresentato un calo del 4,2% anno su anno. Ora Rometty confida nel fatto che l’integrazione di Red Hat abbia posto Ibm su una “traiettoria di crescita sostenibile”.
Tornando alla strategia per il “secondo capitolo” ancora da scrivere, Ibm ha sottolineato attraverso i dati di un’indagine di Idc, che attualmente il 95% delle aziende impiega una qualche forma di cloud, dotandosi in questo modo di un ambiente It ibrido. Ma è stato spostato sul cloud soltanto un quinto dei workload aziendali. Rometty ha spiegato che la combinazione fra Ibm e Red sarà vincente perché la secolare società di Armonk ha una solida base di clienti, più di 30mila, ai quali vende tecnologie usate per applicazioni mission-critical (il 90% delle transazioni di carta di credito fatte nel mondo poggiano su tecnologia Ibm, per esempio), mentre la compagnia sinonimo di open source porta in dote il sistema operativo Red Hat Enterprise Linux, l’infrastruttura OpenStack e la piattaforma per container OpenShift. Utilizzando questi componenti come standard, è possibile realizzare servizi cloud che funzionano su qualsiasi hardware.
Una delle modalità con cui saranno proposti nuovi servizi è quella dei Cloud Paks, già presenti nell’offerta di Ibm. Si tratta di soluzioni software pronte all’uso, che possono ridurre di oltre tre quarti (a detta di Ibm) sia i tempi di sviluppo sia le spese operative: ciascun “pacchetto” racchiude la piattaforma per container, middleware di Ibm e componenti open source. Attualmente sono disponibili cinque offerte, destinate a sviluppo e distribuzione di software, alla raccolta e analisi dei dati, all’integrazione (di dati, app, servizi cloud e API), all’automazione e alla gestione multicloud. In futuro i Cloud Paks saranno arricchiti con tecnologie di intelligenza artificiale e computing cognitivo, incluse quelle di Ibm Watson.
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