17/06/2015 di Redazione

Ibm rende il cloud tricolore con il suo primo data center italiano

Il colosso Usa ha inaugurato, a due passi da Milano, la prima “sala macchine” proprietaria dedicata esclusivamente ai servizi sulla nuvola. Basato sull’infrastruttura di SoftLayer, il centro certificato Tier IV dispone di un potenziale di oltre 15mila ser

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Cornaredo e Settimo Milanese, due comuni dell’hinterland del capoluogo lombardo, ospitano ufficialmente da poche ore il primo data center per il cloud italiano targato Ibm, basato su infrastruttura SoftLayer. Una superficie di 2.200 metri quadrati, distribuita su tre point of delivery (PoD) con un potenziale di oltre 15mila server, per un investimento complessivo di cinquanta milioni di euro. “Abbiamo deciso di tornare a credere in questo Paese e, dopo soltanto sei mesi di lavoro, siamo riusciti a realizzare un data center certificato Tier IV partendo completamente da zero”, commenta Nicola Ciniero, presidente e amministratore delegato di Ibm Italia. La nuova sala macchine, operativa in realtà già dal primo giugno scorso, testimonia la volontà ferrea di uno dei principali colossi dell’informatica di tornare a puntare sulla Penisola e sul suo comparto It.

“Purtroppo l’Italia, come ha dimostrato un rapporto di Confindustria digitale, paga un gap di Pil pari a 25 miliardi a causa della propria ‘anoressia’ informatica”, continua Ciniero. Ma la scelta di installare un nuovo data center proprietario, il quarto in Europa solo quest’anno, significa che il gigante a stelle e strisce vede segni di ripresa anche in Italia. La vitalità del nostro cloud è testimoniata infatti da un 2014 positivo, che ha registrato una crescita del 31% rispetto al 2013, con una spesa totale di oltre 1,18 miliardi di euro.

La sala macchine milanese di Ibm e Softlayer, dal 2013 parte della divisione Cloud di Big Blue, si affianca a una rete preesistente di data center Ibm nella Penisola e ha un fabbisogno di 4,2 megawatt, scalabile però fino a sessanta. Questo nuovo data center per il cloud, che presenta un punto di accesso alla rete presso il Milan Internet Exchange (Mix) per garantire alta velocità e bassa latenza, è immerso in un vero e proprio polmone tecnologico che avvicina l’Italia al resto d’Europa.

 

La facciata del nuovo data center per il cloud di Ibm, tra Cornaredo e Settimo Millanese

 

È infatti parte integrante del Campus milanese di Ibm, costituito da altri cinque data center, interconnesso alla “sala emergenza” di Roma per il disaster recovery e parte di un network globale di oltre quaranta centri gemelli interconnessi a 40 Gbps, dislocati in tutto il mondo. Ma il polo italiano di Big Blue potrebbe ospitare otto ulteriori data center, assicurando così alle potenzialità di calcolo dell’azienda americana un’ampia possibilità di crescita. Inoltre, la prossimità agli altri poli del Campus – l’unico del Belpaese caratterizzo da due centri Tier IV – è un plus importante, perché permette l’accesso ai servizi di outsourcing targati Ibm, abilitando l’intera infrastruttura all’erogazione di cloud ibrido.

“Dati e backup presenti nel data center risiedono completamente in Italia, quindi molte realtà che prima si servivano delle nostre strutture all’estero potranno riallocare tutto nella Penisola. Secondo i nostri piani, entro 12 mesi verrà sfruttato al 70% proprio da organizzazioni italiane”, aggiunge Ciniero. “Possiamo così rispondere perfettamente alle più stringenti normative su privacy e sicurezza, garantendo pieno supporto alle attività della Pubblica Amministrazione e delle grandi aziende del Paese. Affidandosi al cloud, le imprese non sono più costrette a effettuare investimenti massicci in tecnologia, perché possono appoggiarsi alla nostra potenza di elaborazione solo quando ne hanno bisogno”. È il vantaggio della nuvola e delle soluzioni di Infrastructure-as-a-Service (IaaS), che rispondono a modelli pay-as-you-go: si spende soltanto in base all’utilizzo delle risorse, riducendo anche il lavoro necessario per l’installazione dei server aziendali.

Secondo Ibm, il segreto per il successo è la nuvola ibrida, “che permette a di proteggere gli investimenti pregressi, continuando a gestire le infrastrutture in integrazione con quanto ormai nasce nel cloud”, sottolinea Maurizio Ragusa, cloud director di Ibm Italia. “Proprio come un ambiente unico, da cui ottenere flessibilità di utilizzo rispettando sicurezza e qualità del servizio”.

Senza dimenticare le nuove opportunità date, ad esempio, dai Big Data e dagli analytics. La quantità di informazione generata nel mondo continuerà a salire in modo impressionante nei prossimi anni e le aziende, pubbliche o private che siano, dovranno trarre il massimo vantaggio da questa cascata di dati. “Con il cloud si possono adottare nuovi modelli di business, sfruttando in modo adatto queste informazioni”, prosegue Ragusa.

Se poi il data center è “green” e si avvicina alle giovani menti del nostro Paese, ancora meglio. La nuova sala macchine della coppia Ibm-SoftLayer cerca infatti di essere ecosostenibile, grazie alla sua struttura efficiente e alla certificazione Ansi/Tia-942, e ha già dato la possibilità a oltre mille ragazzi italiani di fare esperienza sulla piattaforma di sviluppo applicazioni Bluemix. “Ibm ha investito in un anno oltre due milioni di euro nelle startup italiane: una realtà con cui vogliamo creare una rete di scambio prolifica e di mutuo vantaggio”, commenta Ragusa.

 

 

SoftLayer, lo strato cloud della sala macchine italiana

 

Ma l’importante accelerazione sulla costruzione di nuovi data center per il cloud, che ha visto protagonista Ibm, non sarebbe stata pensabile senza l’esperienza sul campo di SoftLayer, che tra i maggiori clienti può annoverare WhatsApp, Tumblr, Repsol, Citrix, McGraw Hill e DropBox. In realtà, il progetto italiano ha visto la luce anche grazie all’acquisizione dell’azienda romana CrossIdeas, fornitrice di soluzioni software per la sicurezza e gli accessi utenti ai dati. È stato però il know-how di SoftLayer nelle tecnologie cloud ad aver rappresentato uno dei fattori vincenti.

“Ma, come sempre, la chiave di volta è lo scambio reciproco”, chiarisce Mark Quigley, Vp, Community Operations di SoftLayer. “Il data center di Milano è stato realizzato e viene gestito come fatto finora per tutti gli altri poli sparsi nel mondo. Sono proprio centri gemelli: dalle modalità di cablaggio, ai server utilizzati, al networking. Questo per noi rappresenta un enorme valore aggiunto dal punto di vista operativo”.

“L’unica differenza è ovviamente la base clienti, che per SoftLayer è molto cambiata dopo l’arrivo di Ibm”, continua Quigley. “Ora possiamo rivolgerci a grandi gruppi, ad agenzie governative, alla Pubblica Amministrazione. Prima il nostro target era diverso: Pmi, gamer e così via. Tra poco saremo in grado di ospitare nell’ambiente di SoftLayer applicazioni e soluzioni che non sarebbero state pensabili fino a due anni fa. Il nostro modo di operare sta lentamente cambiando e ci stiamo ingrandendo in tutto il mondo”.

L’obiettivo di SoftLayer è costruire altri due data center entro la fine del 2015, che si andranno quindi ad aggiungere a quelli appena inaugurati a Parigi, Francoforte, Amsterdam – quello presente nella capitale è il secondo nei Paesi Bassi –, Montreal e Sydney. Oltre ovviamente a quello di Milano. Una vitalità necessaria per competere nell’affollato mondo dei servizi cloud, che oggi vede – ed è Gartner a sottolinearlo per il secondo anno di fila –, Amazon Web Services come il leader incontrastato.

“Ma Aws non dispone della stessa infrastruttura di Ibm, così come non può fare affidamento sulle relazioni eccellenti di Big Blue con multinazionali e governi”, ribatte subito Quigley. “Certamente Amazon ha dell’enorme potenziale, e i numeri lo dimostrano, ma se si considera l’intero portafoglio di Ibm lo scenario cambia, perché il valore aggiunto è incomparabile. La differenza fondamentale è il network mondiale di cui noi possiamo disporre, mentre Amazon possiede data center in poche aree. Per una grande azienda o un ente pubblico, poter disporre di un centro nel proprio Paese significa molto, soprattutto quando intervengono le norme che regolano la privacy e la residenza dei dati”.

 

Mark Quigley, Vp, Community Operations di SoftLayer

 

SoftLayer, che ha oltre 21mila clienti a livello globale a cui può offrire la capacità di calcolo di circa centomila server, è l’unica azienda a offrire un’architettura unica per cloud pubblico, privato e per i server bare metal, con un sistema di gestione unificato. “È quello che gli altri player sul mercato non possiedono”, conclude Quigley. “Nemmeno Amazon, che ai clienti può offrire infrastrutture public-shared: ad esempio, le aziende non possono richiedere un bare metal dedicato, ma accontentarsi di un modello condiviso. Un approccio che può andare benissimo per certi compiti, ma non per altre cose, come potrebbero essere i Big Data. Le imprese hanno bisogno di scalare, anche in modo massiccio, di creare ibridi utilizzando risorse on-premise e cloud pubblico, di affidarsi alla virtualizzazione. Quello che oggi SoftLayer e Ibm sono in grado di offrire”.

 

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