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La gente ama l'intelligenza artificiale, purché sia “onesta”

Un report di Capgemini svela che la maggior parte dei consumatori (in Europa e altrove) apprezza sistemi quali chatbot e assistenti vocali. A queste tecnologie si chiede trasparenza, cioè di dichiarare esplicitamente la propria natura artificiale senza spacciarsi per quello che non sono.

Pubblicato il 10 luglio 2018 da Redazione

Dovranno essere sempre più “umani”, ma allo stesso tempo non dovranno spacciarsi per persone in carne e ossa. Le tecnologie di intelligenza artificiale assistive, quali chatbot e programmi basati su comando vocali come Siri, Alexa, Google Assistant e Cortana, oggi attraggono un crescente interesse: gli utenti per lo più le apprezzano e si aspettano di vederle migliorare, senza però desiderare che sostituiscano totalmente le interazioni fra individui. Un nuovo studio di Capgemini (“The Secret to Winning Customers’ Hearts with Artificial Intelligence: Add Human Intelligence”, eseguito su diecimila utenti-consumatori di dieci Paesi tra Europa, Asia e Australia, inclusa l'Italia, e su 500 manager di alto livello) svela che quasi tre persone su quattro sono già avvezze ai customer service basati su intelligenza artificiale. Il 73%, infatti, è consapevole di averli usati almeno una volta e, tra costoro, il 69% si è detto soddisfatto dell'esperienza. Si apprezza, in particolare, il fatto di poter ottenere risposte immediate in qualsiasi momento, dato che per i chatbot non esistono pause pranzo, nottate o riposo domenicale.

Nelle note metodologiche Capgemini specifica che il questionario somministrato ai partecipanti all'indagine è stato scritto assicurandosi che fosse chiaro l'argomento e non ci fossero dubbi sul tipo di intelligenza artificiale considerato da ciascuna domanda. Non è una specifica leziosa: in effetti, la chiarezza su che cosa sia o non sia l'AI, e soprattutto su che cosa debba essere, è uno dei temi della survey. I sistemi conversazionali devono diventare talmente abili nel comprendere e usare il linguaggio naturale da spacciarsi per persone in carne e ossa? O devono invece continuare a sembrare “robotici”, quindi offrire un'interazione più innaturale ma allo stesso tempo non camuffata da qualcosa di diverso?

La risposta sta un po' nel mezzo. La maggior parte degli intervistati, infatti, desidera che i chatbot e gli assistenti vocali continuino a evolversi, diventando in un certo senso più “umani”. Senza, però, fingere di essere qualcosa che non sono. Il 64% degli intervistati desidera che i servizi basati su intelligenza artificiale guadagnino attributi umani, per esempio imparando a conversare con più naturalezza, a rispondere alle domande, a fornire dettagli aggiuntivi pertinenti, e via dicendo. Il 62% apprezza il fatto di poter interagire con una voce che assomigli a quella di un uomo o di una donna, e il 57% non avrebbe problemi se il sistema di AI sapesse analizzare le emozioni.

D'altra parte, circa un utente su due (52%) non si sentirebbe a proprio agio nell'interagire con soluzioni di intelligenza artificiale dotate di caratteristiche visive “umane”. Soluzioni, insomma, che tentino di assomigliare fisicamente a qualcosa che non sono (e basti pensare ai progressi della grafica nel gaming per avere un'idea del livello di verosimiglianza che sarà raggiunto prossimamente). Due persone su tre, inoltre, preferirebbero essere avvisate dall'azienda di turno qualora il customer service adottasse di punto in bianco delle soluzioni basate su AI.

 

 

 

Ai clienti-consumatori, dunque, l'intelligenza artificiale tendenzialmente piace, purché sia in un certo senso trasparente. Ma come si stanno muovendo le aziende? Solo una minoranza tra i cinquecento manager intervistati dalla società di consulenza ha mostrato di aver compreso appieno le potenzialità e i vantaggi dell'AI. I nuovi progetti di implementazione dell'intelligenza artificiale, infatti, sono soprattutto determinati da considerazioni sui costi (per il 62% delle imprese) e sul ritorno degli investimenti (per il 59%), mentre solo il 10% include tra i fattori chiave da considerare il miglioramento della customer experience e appena il 7% ritiene l'AI uno strumento fondamentale per gesitre i reclami dei clienti.

L'approccio prevalente, quello basato più sulla considerazioni di costo e meno sugli effetti, a detta di Capgemini è sbagliato: con l'intelligenza artificiale si può migliorare la soddisfazione del consumatore e, dunque, spingerlo a spendere di più e a fidelizzarsi. “Per ottenere un incremento dei profitti, le imprese devono rendere intelligenza artificiale e customer experience punti fondamentali della propria strategia”, ammonisce Riccardo Elia, vice president, digital customer experience practice leader di Capgemini Italia.

 

 

Tag: customer care, capgemini, intelligenza artificiale, chatbot, customer service

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