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Le aziende italiane hanno sposato il Byod? E come?

Uno studio della Sda Bocconi su un campione di 30 grandi imprese ha messo in evidenza alcune linee guida per l’adozione dei device personali. Meno di una su tre afferma di non supportare assolutamente device personali per accedere a servizi e risorse IT aziendali. Il 44% e lo consente solo in casi eccezionali e il 28% sempre. E si parla già di Bring your own application.

Pubblicato il 05 giugno 2012 da Gianni Rusconi

Paolo Pasini, responsabile scientifico della Unit di sistemi informativi di SDA Bocconi, ha inquadrato così il fenomeno di cui tutti parlano: “il presupposto di base per parlare del Byod è la crescita della consumerizzazione, un trend che si sta affermando anche in relazione all’incremento del mercato Ict in chiave consumer rispetto alla domanda di soluzioni professionali tout court”.


La nuova tendenza che Cio e IT manager devono fare propria con grande attenzione è, secondo Pasini, la seguente: device e software (come Dropbox, i programmi e-mail in the cloud, le apps per la produttività o il social networking, le emoticons integrate nelle soluzioni di unified communciations) pensati per il mondo consumer si trasferiscono ora in ambito enterprise affiancati da servizi e add on pensati per trasformarli in una risorsa aziendale.

“È in atto – si chiede il professore - la convergenza a livello di Ict fra mondo consumer e mondo business? È più corretto forse parlare di contaminazione del mercato business da parte di quello consumer anche se è difficile, oggi, immaginare un sistema informativo aziendale fatto solo di apps e tecnologie consumer”.


Come vede, allora, il Byod il management aziendale italiano? La Sda Bocconi ha provato a rispondere al quesito con un’indagine su 30 aziende campione, non statisticamente indicativo, ma comprendente nomi come A2A, Ferrero, Bticino, Zegna, Sisal, Luxottica, Sea, Atm.

In linea generale, spiega Pasini, “l’avvento dei device personali deve essere gestito all’interno delle policy di gestione dell’IT aziendale da redigere con la fattiva partecipazione della funzione HR. In chiave IT questo processo si chiama Mobile Device Management Strategy. E le apps e i dati personali vanno necessariamente separati da quelli aziendali”.

Quanto ai risparmi sui costi, uno dei benefici che caratterizzano la prevista ascesa di popolarità del fenomeno (il discorso, identico, è valso e vale tuttora per il cloud), sono sicuramente un obiettivo raggiungibile perché “sono spostati altrove ma solo se i device personali sono sostitutivi di quelli aziendali. E l’impatto dei costi di infrastruttura è infatti molto superiore a quello del device in sé, che si compra il singolo addetto.

Perché dunque piace il Byod? “Perché – questa la risposta del docente della Bocconi - è una forma di apertura e di disponibilità dell’azienda verso i dipendenti o i collaboratori esterni. È uno stimolo al cosiddetto “lavoro liquido”, open ended”.

Venendo ai risultati dello studio, emerge come il 28% delle aziende coinvolte afferma di non supportare assolutamente device personali per accedere a servizi e risorse IT aziendali. Il 44% invece lo consente solo in casi eccezionali (top manager in molti casi, limitatamente ad una piattaforma, tendenzialmente Apple iOs) e il 28% sempre.


Per quanto riguarda le risorse Ict aziendali che vengono erogate a chi usa device personali, l’e-mail è il servizio più utilizzato (30%), seguito dalla navigazione Web (20%). Le applicazioni aziendali sono invece concesse solo nel 10% dei casi: “è fenomeno – aggiunge in merito Pasini che deve maturare nell’ottica di un fenomeno complementare al Byod che si chiama Bring your own application, e cioè la possibilità di portare sui device aziendali i servizi e le applicazioni consumer e personali”.

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