07/10/2010 di Redazione

Perché non lavorare per un'Europa Digitale Unica?

Due storie mostrano la noia per i vecchi schemi mentali associati all'ICT: a Roma si chiede di abolire la legge Pisanu che ha contribuito all'ottusità digitale italiana. A Bruxelles s'avanza un'idea rivoluzionaria: piuttosto che la riedizione di vecchie r

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Forse s'incomincia a immaginare un futuro digitale diverso.

Due storie sottolineano come alcune cose potrebbero cambiare il futuro. Da una parte a Roma ci sono un microscopico gruppo di parlamentari di aree politiche diverse che, alla buon'ora, si sono stufati di reiterare il decreto Pisanu che ha sostanzialmente castrato il nostro Paese dall'utilizzo del Wi-Fi in luoghi pubblici (vedi Dario D'Elia in Wi-Fi pubblico senza restrizioni, in Italia si spera). Quali conseguenze ha portato questa decisione nella diffusione della cultura digitale? Lo indicano le tante statistiche che mettono l'Italia in coda nella diffusione di pc nelle case, nella innovazione, nella produttività.

"Ciò che non è proibito è permesso": perché non immaginare un'Europa Digitale Unica?


Dall'altra c'è una riflessione, pubblicata sul Wall Street Journal, di Andrea Renda del Center for European Policies Studies e Gunnar Hokmark, parlamentare Europeo. I due partono da una riflessione durissima: per i giovani europei i confini nazionali non hanno senso tranne per una cosa: il costo della navigazione web col loro cellulare. Qui i confini sono durissimi e altissimi con un sistema che rende l'Europa arcaica rispetto a un vero mercato unico, come per esempio sono gli USA, dove si passano 50 Stati con lo stesso piano tariffario. Ciò che i due suggeriscono è che nell'Europa a 27 si potrebbe fare lo stesso.

Un rapporto presentato dalla Copenhagen Economics stima che 500 miliardi di euro, pari al 4% del PIL della UE a 27, vengono bruciati perché l'Europa non è un vero mercato unico. L'esempio delle telecomunicazioni è emblematico: si continuano a fare programmi quadro che si riferiscono a mercati nazionali con tanto di documenti sulle condizioni, i prezzi, le tecnologie, le velocità, la copertura, la qualità delle reti.

Inoltre l'Unione si è prefissa di portare la banda larga dovunque entro il 2013. Se fatta con la fibra ottica richiederebbe una impensabile cifra di 400 miliardi d'investimento. L'alternativa è una migliore allocazione delle onde radio.

A questo proposito negli USA l'amministrazione Obama ha già fornito agli operatori 700MHz per dare banda larga wireless e conta di dare loro altri 500MHz dello spettro radio nei prossimi 10 anni. Con piani che mirano a far convivere fibra del backbone e spettro radio.

Da cui la proposta assai interessante: l'Europa avrebbe bisogno di un "big bang", un'asta a livello Europeo dei servizi wireless di Quarta Generazione (4G) che coinvolga un limitato numero di fornitori, per esempio 12, che collettivamente devono servire l'intera Europa. Ciò porterebbe a un consolidamento della numerosa folla di fornitori attuali e, dall'altro, che i Paesi dovrebbero coordinarsi progettando servizi pan-Europei. Ne trarrebbero sicuro vantaggio i manifatturieri che avrebbero un mercato gigantesco da servire con economie di scala e profitti possibili grazie alla vendita delle loro attrettature e device.

La stessa Commissione Europea, fanno notare i due autori, tiene conto che una "gestione coordinata dello spettro potrebbe portare a risparmi per la UE di 44 miliardi di euro".

La conclusione è ovvia: sarebbe ora che l'Europa sviluppi una politica competitiva per il 21esimo Secolo proiettandosi verso un mercato unico digitale piuttosto che riproporre vecchi e superati schemi regolatori per le singole nazioni.

A che cosa portano le due storie giustapposte? Che montano il tedio e la noia  per ciò che è stato ritrito per il XX Secolo e che, almeno nel digitale, si potrebbe aspirare a qualche cosa di meglio piuttosto che le paure dei confini e degli orticelli dialettali.

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