L’Italia prosegue nella corsa dei data center: nel nostro Paese saranno investiti 21,8 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per potenziare la capacità di calcolo, storage e networking erogata sul territorio nazionale. Questa la stima di Ida, l’Associazione Italiana Data Center, racchiusa nel suo ultimo Osservatorio presentato ieri alla presenza del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, e del ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.
Altri dati della “Ricerca di Mercato 2025 Status dei Data Center in Italia” dipingono il quadro di un mercato che sta crescendo rapidamente, nonostante gli ostacoli sottolineati da Ida: i tempi lunghi per la messa in opera delle infrastrutture tecnologiche, la mancanza di un codice Ateco e di una normativa unificata, i costi energetici. Fattori che posizionano l’Italia in svantaggio rispetto ad altri contesti europei dove creare data center (tramite edificazione da greenfield o conversione da brownfield) risulta più semplice e conveniente.
Con il traino degli hyperscaler, in particolare Amazon (Aws), Microsoft e Google, la potenza complessiva erogata dai data center italiani sta crescendo rapidamente. In totale lo scorso anno la potenza degli “hub digitali” italiani ha raggiunto i 287 MW, con un incremento del 6% anno su anno. Proprio l’entrata in funzione di numerosi data center hyperscale imprimerà un’accelerazione incredibile: la potenza installata in Italia tra fine 2025 e fine 2026 supererà tutta quella odierna.
Attualmente, secondo Ida, sono in corso attività di costruzione per 343 MWdi potenza, ma ci sono altri 1.684 MW già pianificati e "diverse centinaia di MW previsti per progetti più speculativi”. Da tutto ciò si deduce, la previsione di una spesa di 21,8 miliardi per la costruzione e l’allestimento di data center nei prossimi cinque anni, escludendo dal calcolo gli investimenti in apparecchiature IT e le spese operative.
Si prevede che la soglia di 1 GigaWatt sarà superata nel 2028, per poi andare al raddoppio in soli tre anni. Se le previsioni si realizzeranno, si tratterà di un aumento della potenza installata pari al 600% nel giro di pochi anni (tra il 2024 e il 2031), con crescita media annua del 30%. Ne trarranno vantaggio, di riflesso, anche settori collegati al mondo dei data center, come energia, edilizia e telecomunicazioni.
A favorire questo percorso ci sarà una parallela crescita della capacità dei cavi sottomarini che attraversano il Mediterraneo, destinata a decuplicare nei prossimi cinque anni. Questo darà vita a nuovi “hub” di data center, accanto a Milano e a Roma: per esempio Genova, Palermo, Napoli e Bari. Dal punto di vista della domanda, invece, i motori della crescita saranno le sempre maggiori necessità delle aziende (ma anche della Pubblica Amministrazione) di usufruire di servizi di cloud computing e di colocation.
Il ruolo degli hyperscaler
Perché si costruisce in Italia? La prossimità geografica tra il punto di erogazione del servizio e il punto di fruizione, quindi tra cloud data center e aziende utenti, è vista sempre più come un valore, se non come una necessità. Alle tradizionali esigenze di disponibilità e bassa latenza oggi si sovrappone il tema della sovranità dei dati (altri parlano di “cloud sovrano”), associato a questioni di sicurezza, governance e compliance, che sono particolarmente forti nei settori molto regolamentati come servizi finanziari, sanità e Pubblica Amministrazione.
Operatori di data center nazionali stanno cavalcando questo tema, ma anche gli hyperscaler statunitensi negli ultimi anni si sono mossi con decisione per diversificare l’offerta con servizi cloud “sovrani”, locali, sottoposti alla legislazione italiana. Come scrive Ida, gli hyperscaler “stanno rapidamente costruendo nuove availability zones in diverse regioni d’Italia, portando il cloud più vicino agli utenti finali (aree metropolitane) per migliorare prestazioni, efficienza e sovranità dei dati”.
Aws, Microsoft, Google, Oracle e altri colossi puntano anche a costruire una solida ladership nel mercato delle infrastrutture per l’intelligenza artificiale. Come noto, le applicazioni basate su AI e in particolare su Large Language Model comportano una maggiore richiesta di energia e densità energetica, oltre a presentare differenti pattern di consumo che impattano sulla progettazione dei data center.
Le questioni sul piatto
“I principali nodi da sciogliere restano quelli legati ai tempi e alla complessità dei procedimenti autorizzativi, che oggi possono variare sensibilmente da un territorio all’altro”, ha commentato Sherif Rizkalla, presidente di Ida. “È fondamentale arrivare all’introduzione di un procedimento unico nazionale per i progetti di data center, che possa semplificare e coordinare tutti i passaggi amministrativi, mantenendo al contempo elevati standard di sicurezza e sostenibilità”.
Un altro problema evidenziato dall’associazione, e già al centro delle proposte arrivate in Parlamento negli scorsi mesi, è la mancanza di un codice Ateco per i data center, finora considerati alla stregua di capannoni industriali. Sarà il decreto Energia a determinare una nuova procedura autorizzativa unificata della durata di dieci mesi. Così ha dichiarato Laura D’Aprile, capo Dipartimento Sviluppo Sostenibile del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica: “Sul piano delle autorizzazioni il Mase ha proposto, all’interno del decreto legge energia, un iter semplificato e accelerato, che prevede un procedimento di autorizzazione unica da concludersi entro dieci mesi dalla verifica della completezza della documentazione, con termini dimezzati per le valutazioni di impatto ambientale, fatte salve le procedure semplificate già vigenti per gli investimenti di interesse strategico nazionale. In riferimento ai consumi energetici verrà supportata a livello EU ogni iniziativa volta all’inserimento dei data center nel settore degli energivori, al fine di poter accedere alle relative agevolazioni”.
Un altro elemento che influenzerà il futuro del settore data center in Italia è la transizione in cloud dei dati e servizi della Pubblica Amministrazione. “Il settore pubblico sta attuando l’ambizioso piano del Polo Strategico Nazionale”, ha ricordato Rizkalla. “Un progetto che porterà alla creazione di quattro principali data center nazionali in colocation, alcune decine di hub regionali e a un’adozione crescente del cloud. La sfida infrastrutturale è rappresentata dalla consolidazione di oltre 1200 piccoli Ced (centri elaborazione dati o server room) in un numero limitato di data center moderni e scalabili, con una riduzione significativa della capacità IT in MW delle imprese e del settore pubblico”.
L’Associazione Italiana Data Center ha anche avanzato una proposta per i terreni brownfield, cioè aree industriali o commerciali dismesse: il loro utilizzo dovrebbe essere normato. “Un altro punto chiave è la definizione chiara della destinazione d’uso”, ha affermato Rizkalla. “Per Ida, i data center devono essere riconosciuti come infrastrutture produttive, coerenti con il loro impatto economico, occupazionale e tecnologico. La nostra proposta è stata accolta con interesse dalle istituzioni: valorizzare gli ampliamenti e le riconversioni di siti esistenti significa ridurre consumo di suolo, ottimizzare le risorse energetiche e accelerare i tempi di realizzazione. È una logica di sostenibilità e buon senso che ci auguriamo venga recepita pienamente nel prossimo quadro normativo”.
Il dominio lombardo e i nuovi "hub"
A detta dell’Associazione Italiana Data Center, nei prossimi anni città diverse da Milano si costruiranno un ruolo di “hub digitale”, concentrando nel proprio territorio un buon numero di infrastrutture. La presenza di un fitto tessuto imprenditoriale locale, la posizione geografica e l’allaccio a cavi sottomarini internazionali saranno vantaggi da sfruttare. Attualmente, tuttavia, Milano resta la capitale digitale italiana e anche la capitale dei data center.
Secondo le stime di TIG - The Innovation Group, recentemente presentate alla “Digital Week” milanese, il valore del mercato digitale lombardo è stimato intorno ai 23,4 miliardi di euro, oltre la metà dei quali (14,8 miliardi) concentrati nel solo capoluogo. Si tratta di oltre un quarto del valore complessivo del mercato digitale italiano, stimato da TIG intorno a 83 miliardi di euro ne 2025, con una crescita del 3,9% sullo scorso anno.
Attualmente in Lombardia sono in funzione 57 infrastrutture di data center su cui poggiano servizi di hosting, colocation o cloud, 49 delle quali localizzate nell’area metropolitana di Milano. Spiccano, tra esse, i nomi di grandi player internazionali come Microsoft, Equinix, Fastweb, Ovhcloud e Vantage Data Centers.
La crescita del capoluogo lombardo potrà proseguire o si è giunti al punto di saturazione? “Più che di capienza massima per Milano parlerei di una fase di saturazione virtuale”, ha detto Rizkalla. “Il territorio ha sostenuto una crescita straordinaria, ma oggi serve una pianificazione più coordinata, per evitare congestioni e garantire sostenibilità. È il momento di affiancare ai grandi poli del Nord una rete di hub regionali e di edge data center distribuiti, così da costruire un sistema nazionale più equilibrato e resiliente”.