31/10/2019 di Redazione

Spot politici messi al bando su Twitter: meglio fare “un passo indietro”

Jack Dorsey ha annunciato che dal 22 novembre sulla piattaforma di microblogging non saranno più accettate le inserzioni pubblicitarie di natura politica. Una scelta in netto contrasto con quella di Facebook.

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Twitter rinuncia ai guadagni degli spot elettorali e più in generale delle campagne di comunicazione politica, pur di evitare qualche possibile guaio. La società di Jack Dorsey, come annunciato dal Ceo, interromperà la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie di natura politica o partitica. Memore, forse, del Russiagate che tanti problemi ha creato a Facebook e sull’onda della recente “tirata d’orecchi” della Commissione Europea sugli insufficienti risultati ottenuti nella lotta alle fake news. La spiegazione fornita da Dorsey tramite tweet è un po’ meno prosaica e forse meno credibile: “Riteniamo che la diffusione del messaggio politico debba essere guadagnata, e non comprata”, ha scritto l’amministratore delegato.

 

Il cambiamento entrerà in vigore su Twitter il 22 novembre mentre qualche giorno prima, a metà mese, verranno pubblicate le regole definitive in merito alla pubblicità politica. Ci sarà qualche eccezione: saranno ammesse le inserzioni che informano sull’importanza del voto e promuovono la registrazione nelle liste elettorali (che negli Usa è una procedura necessaria per potersi recare alle urne). Non poteva che essere così: in vista delle elezioni presidenziali del 2020, e considerando lo storico problema dell’elevato astensionismo, questo genere di comunicazioni è particolarmente importante negli Stati Uniti. Ma a questo punto per Twitter le presidenziali saranno un po’ un’occasione economica mancata, dato che gli investimenti pubblicitari di partiti e gruppi di lobby dovranno dirigersi altrove. 

 

Ben diversa è stata la scelta di Facebook, che ha recentemente annunciato nuovi strumenti “anti-bufala”, un incremento dei controlli sui profili ed etichette che segnaleranno all’utente i contenuti poco attendibili. In conferenza stampa, a margine dell’annuncio dei risultati trimestrali del terzo quarter, Mark Zuckerberg ieri ha detto che “viviamo certamente in un momento storico di tensione sociale e riconosciamo l’importante ruolo della nostra azienda nel difendere la libertà di espressione”.

Per Jack Dorsey, invece, la scelta di evitare pubblicità politiche su Twitter non equivale a censura perché, come spiegato in un tweet, “non ha a che fare con la libertà di espressione, ma con il fatto di pagare per avere visibilità. E pagare per aumentare la visibilità di un discorso politico ha ricadute significative l’attuale infrastruttura democratica potrebbe non essere preparata a gestire. Vale la pena fare un passo indietro”. 

 

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