Xiaomi stecca il debutto: primo giorno debole a Hong Kong
Il titolo della promettente società hi-tech cinese è arrivato a perdere oltre il due per cento sulla piazza asiatica. È comunque l’Ipo più grande di una realtà tecnologica del Dragone dai tempi dello “sbarco in America” di Alibaba. Nel frattempo Htc fa i conti con la realtà: le vendite di smartphone sono crollate del 68% in un anno.
Pubblicato il 09 luglio 2018 da Alessandro Andriolo

La Borsa di Hong Kong “tradisce” Xiaomi: il produttore cinese ha esordito oggi sui mercati, dopo una lunga attesa, ma la reazione degli investitori è stata decisamente tiepida. Il titolo della società guidata da Lei Jun ha perso circa il 2,4 per cento, passando dai 17 dollari di Hong Kong fissati inizialmente (1,84 euro) ai 16,6 dollari in chiusura (1,79 euro). La capitalizzazione di mercato ha sfiorato quota 46 miliardi di euro, la metà rispetto a quanto pianificato in fase di Ipo. Va detto che, almeno per il momento, l’accesso alle azioni di Xiaomi è precluso agli investitori residenti in Cina, per via di una serie di regole che impediscono agli abitanti del Paese del Dragone di puntare su titoli di aziende quotate all’estero. Hong Kong è a tutti gli effetti dipendente da Pechino, ma al suo interno vige una legge differente rispetto a quella della Cina continentale.
Per attrarre capitale straniero e invitare le società tecnologiche del Dragone a quotarsi nel proprio mercato regolamentato, la città-Stato asiatica ha recentemente allargato le proprie maglie fiscali, con l’obiettivo di risultare più invitante per realtà in forte espansione come Didi Chuxing e Ant Financial, rispettivamente la “Uber cinese” e il braccio finanziario di Alibaba. Entrambe le compagnie stanno infatti elaborando le proprie strategie per diventare pubbliche.
Il debole debutto di Xiaomi a Hong Kong, però, non cambia lo scenario di fondo: l’Ipo dell’azienda fondata da Lei è la più grande offerta pubblica iniziale del settore tecnologico nel 2018 ed è anche la maggiore di una realtà dell’hi-tech cinese dai tempi dello sbarco a Wall Street di Alibaba, avvenuto nel 2014.
Se Xiaomi, malgrado i piani ambiziosi, in queste ore non sembra ridere, c’è chi sta sicuramente piangendo. Si tratta di Htc, che a giugno ha venduto il 68 per cento di cellulari in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Il gruppo ha registrato ricavi per 2,2 miliardi di dollari taiwanesi contro i 6,9 miliardi di un anno fa, accentuando così una crisi che dura da tempo. Per provare ad arginare le perdite, la scorsa settimana Htc ha annunciato un imponente piano di ristrutturazione, che ha portato al licenziamento di 1.500 persone, pari al 22 per cento della forza lavoro impiegata nell’unità produttiva di Taiwan.
Un’operazione sufficiente per rimanere sul mercato? Difficile dirlo, ma le previsioni non sono certamente incoraggianti. Secondo la società di ricerca Trendforce, quest’anno Htc produrrà poco meno di due milioni di smartphone, pari a un market share dello 0,5 per cento, e dovrà affrontare una competizione sempre più serrata sia sul segmento alto (presidiato da Samsung, Apple e ora dalla stessa Xiaomi), sia su quello medio, ormai invaso dai brand cinesi a basso costo.
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