20/12/2023 di Valentina Bernocco

Copyright sulle creazioni dell’AI: “no” della Corte Suprema britannica

Secondo diniego, dopo quello dell’Intellectual Property Office, per il ricercatore informatico Stephen Thaler. Per la Corte Suprema, la proprietà intellettuale non può essere rivendicata da una macchina.

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L’intelligenza artificiale conquista nuovi territori di giorno in giorno, ma non può essere equiparata a un artista, un autore, un inventore o altro detentore di proprietà intellettuale. A dirlo è stata la Corte Suprema del Regno Unito, confermando l’opinione già espressa dall’ufficio brevetti britannico, l’Intellectual Property Office.

Il dibattito, oggi molto attuale, nasce in realtà anni fa dall’iniziativa di Stephen Thaler, ricercatore informatico statunitense autore di un sistema di intelligenza artificiale battezzato Dabus (acronimo di Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience).  Dabus è un sistema di deep learning, cioè una rete neurale artificiale, che può replicare i meccanismi del ragionamento umano e generare “idee creative” senza alcun intervento umano a parte l’inserimento dei dati su cui l’algoritmo basa la propria conoscenza.

A partire dal 2019, ben prima che si parlasse di AI generativa su larga scala, Thaler ha cominciato ad avanzare richieste di brevetto per alcune “invenzioni” partorite da questo software, e nella fattispecie l’idea di un contenitore per bevande e di un sistema lampeggiante capace di attirare l’attenzione. Thaler ha anche chiesto di riconoscere a Dabus la proprietà intellettuale di una immagine simil-pittorica, titolata “A Recent Entrance to Paradise” (una scena bucolica surreale, che ritrae dei binari e una galleria che si fanno strada in un bosco).

Un'immagine generata dall'AI (il prompt è ispirato ad "A recent entrance to Paradise")

Un'immagine generata dall'AI (il prompt è ispirato ad "A recent entrance to Paradise")

Le sue domande sono state rigettate più volte dall’ufficio brevetti statunitense e poi anche da quello britannico, sulla base di un principio: non può esserci proprietà intellettuale se manca l’intelletto umano, se è stata una macchina a generare un contenuto, per quanto simile a un’opera d’arte. Anche lo European Patent Office nel 2020 ha sbarrato la strada a ogni possibilità, sulla base dell’Articolo 81 della European Patent Convention, in cui è stabilito che la richiesta di riconoscimento di brevetto debba contenere l’indicazione dell’inventore. Nelle richiesta di Thaler, al contrario, il sistema Dabus veniva designato come autore dell’opera o invenzione.

Dopo il “no” dell’Intellectual Property Office britannico, il ricercatore aveva fatto appello alla Corte Suprema del Regno Unito, ma non ha avuto fortuna. All’unanimità è stato ribadito che, secondo la legge britannica, “un inventore dev’essere una persona”. I legali di Thaler hanno criticato la sentenza, che a loro dire “stabilisce che la legge britannica sui brevetti è attualmente del tutto inadatta a proteggere le invenzioni generate autonomamente da macchine di AI, e quindi del tutto inadeguata a supportare qualsiasi industria basata sull’AI per lo sviluppo di nuove tecnologie”.

Ultimamente il problema del rapporto fra AI e copyright è stato affrontato (senza giungere a conclusioni unanimi) dal punto di vista opposto, ovvero di quanto i sistemi di intelligenza artificiali possano “scippare” il lavoro, l’ingegno e la creatività umana generando artefatti liberamente utilizzabili da altri. Aziende come OpenAI, Microsoft, Google e Meta stanno cercando di potenziare filtri e limiti nelle rispettive applicazioni, per esempio in modo che sappiano declinare richieste come la replica dello stile di un certo artista. Ma la nascente “arte” del prompting va di pari passo con il jailbraking, e attualmente è possibile aggirare alcuni di questi limiti (e altri, ancor più importanti, sul rispetto della dignità umana).

Il caso di Stephen Thaler e di Dabus è interessante perché ribalta la prospettiva, invitando a guardare al problema anche da un altro punto di vista. Che piaccia o no, l’AI generativa nei prossimi anni sarà sempre più utilizzata per produrre contenuti di ogni genere, visuali e testuali, ma anche idee, prototipi di prodotto, software. Non è escluso che in futuro siano le aziende, di qualsiasi settore, ad avanzare agli uffici brevetti richieste di paternità su invenzioni generate dall’AI.

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