23/11/2016 di Redazione

Facebook punta alla Cina (anche con strumenti discutibili)

Secondo il New York Times, il social network avrebbe sviluppato uno strumento per filtrare i contenuti sgraditi a Pechino. Un sistema approvato da Mark Zuckerberg e che potrebbe essere implementato nella piattaforma in caso di sbarco cinese.

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Business is business. Anche in Cina. E un’azienda che vuole investire nel colosso asiatico può contare su una platea di 1,4 miliardi di potenziali consumatori. Facebook lo sa bene, ma in quel Paese non riesce a rientrare sin dal 2009: da quando cioè Pechino bloccò ai propri cittadini l’accesso al social network blu, così come ad altre piattaforme occidentali. Tra cui Twitter. Ma ora le cose potrebbero cambiare. La smania di crescita che ha colpito Facebook (a causa anche della pressione degli investitori), potrebbe aver spinto Mark Zuckerberg ad approvare addirittura lo sviluppo di uno strumento capace di filtrare i post in tempo reale per censurare contenuti sgraditi al governo cinese. Un tool che, in sintesi, ricalcherebbe “in piccolo” quanto implementato negli anni da Pechino sulla propria infrastruttura di rete e noto al mondo con il nome di “Great Firewall”.

L’indiscrezione è stata lanciata dal New York Times, che ha citato come fonte tre dipendenti (ed ex) di Facebook, i quali hanno ovviamente preteso la garanzia di anonimato. Perché lo strumento è riservato. Non che il social network non sia abituato a osservare le richieste governative, come fanno anche altre aziende. Tra luglio e dicembre 2015, il gruppo di Menlo Park ha bloccato circa 55mila contenuti in vari Paesi, tra cui Pakistan, Russia e Turchia.

Questi sono dati pubblicati dalla stessa Facebook e disponibili a questa pagina. Ma, ha sottolineato anche il New York Times, nel caso cinese Facebook sembra aver fatto un passo ulteriore. Perché il nuovo strumento bloccherebbe post e altri contenuti ancora prima che questi possano apparire nei news feed degli utenti. Una vera bomba, che testimonierebbe la volontà di ferro di Zuckerberg di aprirsi un mercato sconfinato come quello del Paese del Dragone. Senza guardare troppo in faccia ai dettagli etici.

Per cercare di distanziarsi il più possibile dalla paternità del tool, sembra che il social network blu ne voglia affidare la gestione ad aziende partner cinesi, le quali potrebbero così monitorare tutti i post e decidere quando e come intervenire. Va detto che il sistema, hanno spiegato le fonti del Nyt, è solo una delle opzioni che la società californiana sta vagliando per sbarcare in Cina. E, come molti altri progetti, potrebbe non vedere mai la luce.

 

Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook

 

“La funzionalità, il cui codice è visibile agli ingegneri della compagnia, è per ora rimasto inutilizzato e non ci sono indicazioni che Facebook possa già averlo offerto alle autorità” del colosso asiatico, ha scritto il quotidiano. Una portavoce del social network ha rimarcato che l’azienda è “da tempo interessata alla Cina” e sta “dedicando tempo a capire e a imparare di più su questa Nazione”. Al momento, quindi, non sarebbero ancora state prese decisioni definitive.

Non è ovviamente un mistero che l’interesse di Zuckerberg per quel mercato sia da tempo molto alto. Il Ceo di Facebook ha incontrato in passato Xi Jinping, presidente e segretario del partito comunista cinese, si è recato più di una volta a Pechino e ha addirittura iniziato a imparare il mandarino. La notizia dello strumento di censura ha già scatenato i commenti di attivisti e paladini del Web libero.

L’Electronic Frontier Foundation (Eff) ha definito il progetto “particolarmente inquietante” e ha ringraziato “i dipendenti che sono riusciti a renderlo noto”. Alcuni analisti contattati dal Nyt hanno sottolineato come il modello migliore da seguire per Facebook sia la massima cooperazione con aziende o investitori locali, concedendo possibilmente loro una buona quota di potere nelle operazioni nel Paese.

In questo modo il gruppo di Menlo Park potrebbe scaricare il fardello della censura e della sorveglianza su attori terzi, aprendosi al contempo un canale di comunicazione diretto con il governo. Perché la chiave per spalancare tutte le porte passa da Pechino. Lo sa bene, per esempio, Google, che sembra pronta a rilanciare il proprio Play Store in Cina dopo sei anni di stop. Dal 2010 Big G reindirizza il traffico del sito www.google.cn verso server presenti a Hong Kong (con dominio .hk), per evitare la censura ed evitare intromissioni sgradite nelle proprie macchine. Ma ora anche Mountain View potrebbe assumere toni più morbidi.

 

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