Il futuro di Intel si intreccia con la campagna elettorale di Joe Biden. Come già annunciato, l’azienda vuole espandere la produzione di chip negli Stati Uniti e per questo ha pianificato di spendere ben 100 miliardi di dollari in un decennio per costruire nuove fabbriche o ampliare quelle esistenti. Ora si fa un passo avanti, con l’ufficializzazione di una prima tranche da 19,5 miliardi di dollari di fondi e prestiti governativi, annunciata da Biden e dalla segretaria al Commercio, Gina Raimondo, e dallo stesso Biden.
Le risorse (8,5 miliardi di dollari di fondi e un prestito da 11 miliardi) consentiranno di erigere due nuove fabbriche e di modernizzare il sito produttivo di Intel già in funzione in Arizona, oltre a supportare i progetti in corso in Nuovo Messico, Oregon e Ohio. Qui, in particolare, nei pressi di Columbus l’azienda è impegnata a erigere due fabbriche in quello che è stato definito come “il più grande sito di produzione di chip di AI al mondo”. Un progetto annunciato già nel 2022. La strategia decennale prevede anche un ampliamento delle attività di fonderia per conto terzi, quelle della divisione Intel Foundry.
I finanziamenti annunciati rientrano nell’ambito del Chips Act statunitense, provvedimento omonimo ma più sostanzioso di quello europeo: prevede, infatti, 52,7 miliardi di dollari a sostegno della produzione di chip nazionale. “Consentiremo il ritorno dell’industria di semiconduttori avanzati qui in America, dopo quarant’anni”, ha detto Biden. Il Dipartimento del Commercio punta a portare al 20% entro il 2023 la quota statunitense sul totale della produzione mondiale di semiconduttori avanzati.
Oltre ad alimentare il prodotto interno lordo, l’intento del Chips Act è soprattutto quello di ridurre la dipendenza dalle fabbriche e dai fornitori cinesi, nonché da quelli che (come Tsmc) risiedono nel territorio conteso di Taiwan. Se tutto questo era già vero fino a un anno e mezzo fa, ora dopo il boom dell’intelligenza artificiale generativa la corsa alla produzione di chip è diventata ancora più strategica nello scenario economico e geopolitico.
“Oggi è un momento cruciale per gli Stati Uniti e per Intel, mentre lavoriamo per alimentare il prossimo grande capitolo dell’innovazione americana nei semiconduttori”, ha dichiarato Pat Gelsinger, con toni non meno enfatici di quelli di Biden. In precedenza il Ceo di Intel si era però espresso anche in termini più pragmatici sulla strategia di incremento della produzione, sottolineando che un secondo round di finanziamenti governativi sarà necessario, probabilmente, per recuperare la leadership nello scacchiere mondiale. “Ci sono voluti più di tre decenni per perdere il mercato”, aveva commentato Gelsinger. “Non tornerà in tre o cinque anni di Chips Act”.
La segretaria al Commercio, Gina Raimondo, firma una placca commemorativa durante una visita alla fabbrica Intel di Chandler, Arizona.
Le sorti del mercato dei chip statunitense sono legate anche a Micron Technology, almeno per quanto riguarda le tecnologie di memoria. L’azienda di Boise, Idaho, sta cavalcando la crescita di domanda di componenti Dram a elevata larghezza di banda, come dimostrano i numeri dell’ultimo trimestre fiscale (chiuso al 29 febbraio): 5,82 miliardi di dollari di ricavi, contro i 3,69 miliardi dell’analogo periodo del 2023.
Ma sono soprattutto cresciuti gli utili trimestrali, dal rosso di 2,3 miliardi di dollari di un anno fa all’attivo di 793 milioni attuali. “Crediamo che Micron sia, nell’industria dei semiconduttori, tra i principali beneficiari dell’opportunità pluriennale creata dall’AI”, ha dichiarato il presidente e Ceo dell’azienda, Sanjay Mehrotra.