https://it.freepik.com/foto-gratuito/e-commerce-acquisto-online-vendita-di-piante_17133831.htm#fromView=search&page=2&position=15&uuid=60910a04-a679-4903-be87-95b38698794e&query=online+shopping
Nel rapporto fra consumatori e aziende si è ormai intrufolata da tempo l’intelligenza artificiale. Un “terzo incomodo” che però spesso fa comodo, per usare un gioco di parole, e fa comodo a entrambe le parti. Le aziende la utilizzano soprattutto per analizzare grandi quantità di dati (e quindi per capire meglio la platea a cui devono vendere un prodotto o servizio) e per personalizzare il marketing e l’offerta, su larga scala e a costi sostenibili; i consumatori, invece, sempre più spesso si rivolgono ad assistenti di AI generativa come ChatGpt, Gemini e Claude per ottenere risposte rapide, consigli per gli acquisti, comparazioni di prezzi e caratteristiche tecniche di prodotti e servizi di ogni genere. Questo rapporto a tre è in continua trasformazione ed è interessante capirne non solo i risvolti pratici ma la psicologia sottostante.
Ci aiutano due recenti ricerche. L’annuale “Consumer Pulse Survey” di Accenture, nella nuova edizione appena pubblicata (basata su un campione d’indagine di 18.214 consumatori di 14 Paesi, tra cui l’Italia), lega l’intelligenza artificiale ai concetti di fiducia e di esperienza. Non più solo uno strumento di immediata utilità o un sostituto dei motori di ricerca Web, ma un interlocutore, un “consulente” che orienta le scelte di acquisto dei consumatori e che aiuta le aziende a costruire relazioni e fidelizzazione. Addirittura Accenture si sbilancia a dire che l’intelligenza artificiale sta diventando un “secondo Io” per molti consumatori.
Sul campione italiano, il 73% degli intervistati non è nuovo all’utilizzo dell’AI e il 25% vi far ricorso abitualmente per vari scopo. Il 47% l’ha usata almeno una volta per orientare le proprie scelte di acquisto e un ulteriore 37% sta valutando di farlo. Prevale ancora, in questa fase, un uso dei chatbot come strumento di “brainstorming”, che in pochi secondi fornisce informazioni e spunti, ma che non necessariamente azzera il processo mentale di valutazione e scelta. E per ora solo il 24% degli italiani interpellati reputa affidabili le informazioni trovate attraverso i chatbot, percentuale che sale al 37% se si considerano gli utilizzatori abituali. Fra gli habitué c’è comunque un non trascurabile 34% che affida all’AI la gestione “la maggior parte del processo di acquisto” e un 8% delega interamente la decisione, senza ulteriori verifiche e confronti.
L’AI si inserisce sia nelle dinamiche dell’e-commerce sia nelle abitudini di acquisto in negozio. Il 40% degli italiani solitamente si informa online e completa, poi, l’acquisto sul Web o tramite app, mentre il 26% utilizza i canali digitali per informarsi, ma si reca poi in negozio. Solo il 23% non compra né fa attività di ricognizione online.
https://it.freepik.com/vettori-gratuito/ordinazione-di-merci-online-negozio-internet-shopping-online-sito-di-e-commerce-di-nicchia-madre-che-compra-vestiti-calzature-e-giocattoli-per-bambini-accessori-per-neonati-illustrazione-della-metafora-del-concetto-isolato-di-vettore_12083344.htm#fromView=search&page=1&position=4&uuid=62ced926-0533-42ea-8973-200f3bc470cd&query=e-commerce
L’aspetto peculiare dell’AI, rispetto ad altre tecnologie entrate stabilmente nelle nostre vite, è il modo in cui viene percepita dalle persone. Tra gli italiani interpellati da Accenture, il 34% definisce l’intelligenza artificiale come un “assistente”, il 26% la vede come un “buon advisor” che dispensa utili consigli e il 24% si spinge a considerarla “un buon amico”. Peraltro gli strumenti di AI generativa non servono agli utenti italiani solo per fare shopping ma anche per “obiettivi di sviluppo personale” (63%), per attività legate al lavoro (61%), per avere suggerimenti su investimenti finanziari (59%), consigli sulle relazioni sociali (59%) e su salute e benessere (58%).
“L’intelligenza artificiale sta rapidamente evolvendo da semplice strumento a vero e proprio partner strategico nella relazione tra brand e consumatori”, ha commentato Andrea Ruzzi, responsabile consumer and manufacturing di Accenture Italia. “I dati ci mostrano una crescente apertura da parte degli italiani verso l’AI, non solo come supporto alle decisioni, ma come agente personale in grado di comprendere, anticipare e agire. Per i brand, questo significa ripensare a fondo la customer experience: costruire fiducia, personalizzare le interazioni e offrire esperienze memorabili grazie a tecnologie sempre più empatiche e autonome, perfettamente integrate con il personale di vendita. Una trasformazione che rende ancora più cruciali gli investimenti sia nell’adozione tecnologica, sia nell’upskilling delle persone”.
Consapevolezza sulla privacy e bisogno di trasparenza
Lo studio di Accenture trova un contraltare in un vasto sondaggio online sponsorizzato da Usercentrics, un fornitore di soluzioni tecnologiche per la privacy, e condotto lo scorso giugno da Sapio Research su 10mila utenti Internet europei (anche italiani) e statunitensi. “The State of Digital Trust” ci dice che il 79% degli internauti italiani non ha una chiara comprensione di come le aziende utilizzino i dati raccolti, e il 56% teme che vengano usati per addestrare sistemi di intelligenza artificiale.
La mancanza di trasparenza sull’uso dei dati, secondo gli autori di questo studio, intacca quella “fiducia digitale” che dovrebbe essere alla base di qualsiasi relazione commerciale, di marketing, di fidelizzazione del cliente. E infatti il 59% degli italiani intervistati ha detto di sentirsi trattato come se fosse un “prodotto”, una merce di scambio e non una persona. Forse più diffidenti verso le aziende o forse solo più consapevoli del valore dei propri dati (personali e di navigazione), gli italiani stanno anche cambiando le proprie abitudini di interazione con i siti Web: il 55%, è meno incline, rispetto al passato, a cliccare su “accetta tutto” nei banner di consenso al tracciamento.
“Non è una reazione di rigetto, è un punto di svolta”, ha commentato Adelina Peltea, Cmo di Usercentrics. “Per troppo tempo la privacy dei dati degli utenti è stata considerata un compromesso tra crescita e conformità. Se la tutela della privacy e il consenso non vengono posti al centro delle strategie di marketing, soprattutto con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, le aziende rischiano di perdere del tutto la fiducia dei consumatori”. Usercentrics invita, quindi, le aziende a ragionare non solo sulla velocità e sulla qualità dell’esperienza utente offerta, ma sulla capacità di trasmettere fiducia.