Privacy, antitrust e brevetti, Google ed Apple. Temi, aziende ed esiti diversi per tre vicende giudiziarie in corso da anni negli Stati Uniti, e che questa settimana sono giunte a un punto di svolta. Il giudice Susan van Keulen della corte di San Jose, California, ha dato ragione ai firmatari di una class action rivolta contro Alphabet, la casa madre di Google, per le modalità di tracciamento della navigazione in Chrome.
La class action era stata presentata da un gruppo di utenti nel 2020, con associata una richiesta di 5 miliardi di dollari di risarcimento per milioni di potenziali vittime di privacy violata. A detta dei querelanti, l’azienda avrebbe realizzato il tracciamento tramite Google Analytics, Google Ad Manager, altre applicazioni e plug-in, anche quando l’utente attivava la navigazione in incognito (modalità in cui Chrome non salva la cronologia, i cookie e i dati inseriti nei moduli). Tutto questo, senza spiegare adeguatamente come funzioni davvero la navigazione in incognito.
La società di Mountain View sostiene di aver già dimostrato con “innumerevoli documenti e prove” che il suo browser ha sempre raccolto dati con il consenso degli utenti. Il giudice, però, non la pensa allo stesso modo.
Per Alphabet questa non è stata l’unica cattiva notizia della settimana sul fronte giudiziario. Martedì scorso, in un tribunale di San Francisco, il giudice distrettuale James Donato si è espresso contro Google per aver intenzionalmente distrutto prove importanti per una causa legale antitrust (che coinvolte 38 Stati Usa più il District of Columbia) . L’azienda avrebbe cancellato alcune conversazioni in chat tra dipendenti.
La causa antitrust in questione è quella che contrappone Google a Epic Games e a Match Group, rispettivamente software house di videogiochi e applicazione per appuntamenti online. L’azienda di Mountain View è accusata di penalizzare le aziende che pubblicano applicazioni su Google Play imponendo determinate modalità di acquisto in-app.
Restando in ambito antitrust, c’è invece una buona notizia per un altro colosso tecnologico concorrente di Alphabet. In appello è stata ribaltata la sentenza che nel 2020 ha imposto a Apple di pagare 502,6 milioni di dollari per la violazione dei brevetti di VirnetX.
Quelle “contese” sono tecnologie di Vpn (Virtual Private Network) usate dall’azienda di Cupertino nelle applicazioni iMessage e FaceTime. La battaglia legale tra l’azienda Cupertino e VirnetX, società del Nevada che può essere qualificata come un patent troll, va avanti ormai da 13 anni, tra numerosi processi legali. La sentenza di questa settimana non sarà, probabilmente, l’ultimo capitolo della saga.