09/05/2018 di Redazione

Facebook come slot machine e droghe, i social danno dipendenza

Antropologi e psicologi comportamentali sottolineano le analogie fra i meccanismi attivati dai giochi d’azzardo e quelli sfruttati da social network gaming online. Dai circoli viziosi alle notifiche fantasma.

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Se alcune persone passano la vita attaccati alla pagina Web o all’applicazione di Facebook et similia, forse non è solo colpa della noia, della mancanza di stimoli intellettuali o degli schemi mentali. I social network stessi sono diventati abili nel creare per gli utenti un effetto “dipendenza” non dissimile a quello del gioco d’azzardo o, addirittura, delle droghe: così argomenta un interessante articolo del Guardian, che a sua volta cita opinioni di psicologi, antropologi e autori di saggi sull’argomento. Non è peregrino paragonare le piattaforme social a locali per scommesse e casinò popolati da slot machine: questi contesti sono accomunati da dinamiche simili, che intrappolano gli individui in circoli viziosi.

Così la pensa, per esempio, la docente di antropologia culturale della New York University (e autrice del puripremiato saggio Addiction by design, frutto di quindici anni di studio di quel “parco giochi per adulti” che è Las Vegas) Natasha Schüll: “Facebook, Twitter e altre aziende usano metodi simili a quelli dell’industria del gioco d’azzardo per trattenere gli utenti sui propri siti […] Nell’economia online i ricavi dipendono dalla continua attenzione del consumatore, che viene misurata in click e tempo”. Ed è facile comprendere come il tessuto di rimandi dei link ipertestuali, dei tag applicati su persone e luoghi, dei suggerimenti di contenuti simili, e altro ancora, si possa trasformare in una ragnatela che intrappola l’utente.

Ma a detta di Schüll c’è di più, perché l’aggiunta dei videogiochi sulle piattaforme social (si pensi al successo di Candy Crush, per citare il caso più eclatante) ha consentito di creare dei “loop ludici”, dei circoli viziosi di gioco fatti di partite veloci, ricompense da guadagnare, amici da sfidare, livelli da scalare. E chi tenta di allontanarsi viene sommerso da messaggi o proposte di bonus di gioco. “Dobbiamo cominciare a renderci conto del tempo perso sui social media”, ammonisce la studiosa.  “Non si tratta solo di un gioco, ma di un fatto che ha implicazioni finanziare, psicologiche ed emotive”.

Allo studio delle dipendenze del gioco d’azzardo la Nottingham Trent University ha dedicato un dipartimento, il cui direttore, Mark Griffiths, evidenzia un altro parallelismo tra i due mondi. Il meccanismo delle ricompense dei videogiochi presenti sui social network (monete virtuali, distintivi, funzioni aggiunte e via dicendo) è una declinazione di quello che in psicologia comportamentale si chiama “rinforzo variabile”: si premia l’utente con una vincita o con una gratificazione di quando in quando, secondo schemi predefiniti. I gestori di slot machine lo conoscono molto bene.

 

 

Daniel Kruger, dottore di ricerca in psicologia sociale applicata all’Università del Michigan, concorda sul fatto che esistano rischi molto più gravi del tempo perso in attività poco produttive: i social network certamente hanno contribuito a creare situazioni di dipendenza psicologica in cui l’utente si ritrova a controllare compulsivamente lo smartphone in attesa di una telefonata, di un messaggio o di una notifica. In alcuni casi, anche arrivando ad avere la sensazione di udire suoni o vibrazioni di un telefono in realtà muto e immobile. “Le chiamate e notifiche fantasma”, così le definisce Kruger, “sono collegate alle smanie psicologiche di ricevere tali segnali”. E il giovane studioso si spinge ancora più avanti con i paragoni, oltre i territori del gioco d’azzardo: “I messaggi dei social media”, spiega, “possono attivare i medesimi meccanismi cerebrali della cocaina”. A differenza di quanto accade con le droghe, ci permettiamo di dire, con Facebook e compagnia forse basterebbero armi culturali e autocontrollo per evitare di cadere nella dipendenza.

 

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