22/10/2020 di Redazione

Google, causa antitrust “epocale” del Governo Usa

Giustizia ha avviato una causa contro la società di Mountain View, colpevole a suo dire di comportamenti anticoncorrenziali.

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L’antitrust è l’incubo di Google. Ma è un incubo ricorrente, di quelli a cui dopo un po’ ci si abitua. Da anni l’azienda di Mountain View è al centro di inchieste e processi in cui è accusata di monopolizzare il mercato delle ricerche Web con azioni che danneggiano la concorrenza e dunque la libertà di scelta dei consumatori. In Europa il colosso californiano è stato bastonato tre volte con altrettante multe per violazioni antitrust tramite la piattaforma pubblicitaria Adsense, il servizio di comparazione prezzi Google Shopping e i contratti di vendita del sistema operativo Android agli Oem di telefonia. In totale, oltre 8 miliardi di euro di sanzioni.

Ma ora per la società del gruppo Alphabet si profila un pericolo ancor più grande, che potrebbe rappresentare in realtà una minaccia all’intero settore dei colossi tecnologici come Apple, Microsoft, Amazon e Facebook. A Washington il Dipartimento di Giustizia statunitense ha avviato una causa contro Google accusandola di aver abusato della propria posizione dominante per mantenere un illegale monopolio sul business delle ricerche e della pubblicità Web. Della startup “prediletta della Silicon Valley”che vent’anni fa ha rivoluzionato il Web con tecnologie innovative oggi non rimane nulla, si legge nel documento. L’azienda è diventata un “guardiano” del proprio monopolio, sbarrando l’ingresso a potenziali concorrenti e utilizzando tecniche “perniciose” e anticompetitive per mantenere e ampliare tale potere.

Secondo l’accusa, Google agirebbe in modo anticoncorrenziale con diverse tattiche, tese innanzitutto a impedire ai piccoli player concorrenti di crescere sul mercato. Una di queste tecniche (già discusse anni fa nella causa antitrust della Commissione Europea) riguarda la preinstallazione dell'applicazione del motore di ricerca sugli smartphone che adottano Android: tale app non può essere nemmeno cancellata, fatto che scoraggia gli utenti dal far ricorso a possibili alternative. Inoltre la società spenderebbe parte dei profitti per “acquistare trattamento preferenziale per il proprio motore di ricerca su dispositivi, browser Web e altri punti di accesso, creando un ciclo continuo di monopolio che si autoalimenta”. Da anni Google Search veicola il 90% delle ricerche Web fatte negli Stati Uniti.

L’azienda capeggiata da Sundar Pichai ha prontamente replicato sottolineando chele persone usano Google perché scelgono di farlo, non perché siano obbligate o non possano trovare alternative”. Dal suo punto di vista, la causa antitrust non aiuterà in alcun modo i consumatori, ma anzi potrebbe “artificiosamente supportare alternative di motore di ricerca di inferiore qualità, aumentare i prezzi del telefoni e rendere più difficile per le persone ottenere il servizio di ricerca che vogliono utilizzare”

 

 

La causa del Dipartimento di Giustizia è già stata definita da molti osservatori come epocale, paragonabile solo a quella del 1998 contro Microsoft (accusata all’epoca di osteggiare l’installazione di software alternativi a Windows con azioni anticoncorrenziali). Non è la prima volta che Google finisce sotto la lente di indagini antitrust, ma ora è il governo statunitense stesso a scagliarsi contro di lei. Lo stesso che tempo addietro, per bocca di Donald Trump, accusava la Commissione Europea di azioni punitive contro le società statunitensi. Ora, come scrive il Guardian, alla vigilia delle elezioni presidenziali evidentemente il clima è cambiato.

Nei giorni scorsi ha fatto discutere l'annuncio del presidente della Federal Communications Commission, Ajit Pai, di voler riesaminare  la Sezione 230 del Communications Decency Act, che dà alle piattaforme Web il potere di rimuovere i contenuti dannosi e falsi senza essere accusate di censura. Molti, specie nel Partito Democratico, vi hanno visto un implicito attacco a Twitter e Facebook, oltre che a Google: tra le righe, ma nemmeno tanto, l’idea che le fake news (che le piattaforme Web giustamente combattono) possano favorire Trump nella chiamata alle urne, come già successo quattro anni fa. Russia Gate docet. D’altra parte il tycoon texano, fresco come una rosa dopo il ricovero lampo per covid-19, qualche giorno fa ha tranquillamente retwittato una falsa notizia di un sito satirico, titolata “Twitter chiude l’intero network per rallentare la diffusione di notizie negative su Biden”. Un retweet ambiguo, probabilmente fatto in malafede (sperando di ingannare i suoi stessi supporter a credere vera una bufala), ma c’è anche chi sospetta che Trump non avesse compreso la natura satirica del tweet.

 

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