24/05/2016 di Redazione

Harry Potter o hamburger? Google e Oracle arringano su Java

Si è chiuso con le arringhe dei rispettivi avvocati il processo in cui l’azienda di Santa Clara accusa Big G di furto di proprietà intellettuale per 37 Api di Java, utilizzate per Android. I testimoni si sono sbizzarriti con le metafore, paragonando l’azi

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La mela della discordia è Java, o meglio l’utilizzo delle Api di Java per lo sviluppo di Android. Il confronto in tribunale fra Oracle e Google giunge alle battute finali con la presentazione delle rispettive arringhe conclusive da parte dell’avvocato dell’accusa e della difesa. La presunta parte lesa in causa è Oracle, che contesta all’azienda di Mountain View il furto di proprietà intellettuale per 37 Api di Java impiegate dal 2010 in poi per per realizzare parti del sistema operativo Android.

La vicenda si trascina da alcuni anni e per chi segue le cronache del mondo Ict è solo una delle tante “guerre sui brevetti” che vedono contrapporsi colossi della tecnologia come per esempio Samsung ed Apple (in varie battaglie riguardanti presunti plagi dei dispositivi Galaxy ai danni degli iPhone). A detta della società di Santa Clara, le diverse versioni di Android in circolazione dal 2010 in poi copierebbero da Java migliaia di linee di codice sorgente, oltre a elementi strutturali e organizzativi delle Api.

Nel 2012 un giudice della corte distrettuale di San Francisco, William Alsup, aveva stabilito che le 37 interfacce di programmazione non potevano essere considerate soggette al copyright, bensì erano liberamente utilizzabili in base al principio del “fair use”. La decisione, però, era stata ribaltata in appello, provocando poi la reazione di Google che si era rivolta alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Quest’ultima aveva rimbalzato la richiesta di revisione, riportando mnuovamente il caso alla corte distrettuale di San Francisco. Qualche mese fa, poi, l’interesse mediatico si era riacceso in seguito alla richiesta di Oracle di rimuovere dal ruolo di esperto tecnico un professore considerato “di parte”, in quanto già espressosi in un’altra occasione a favore di Samsung e, indirettamente, del mondo Android. Richiesta che, però, il giudice aveva rispedito al mittente.

Ora, con le arringhe, si è aperto il capitolo finale. Peter Bicks, primo avvocato del team della difesa, con notevole fantasia (e per convincere con un messaggio semplice una giuria non tecnica) ha paragonato le Api di Java ai romanzi di Harry Potter: come loro, le interfacce di programmazione sono parte di un lavoro creativo complesso, fatto di personaggi, capitoli, eventi correlati fra loro. La medesima metafora era stata usata altre volte da dirigenti di Oracle e anche recentemente da Mark Reinhold, chief architect di Java SE, che testimoniando al processo qualche giorno fa aveva detto che l’opera attuata da Google sul codice è stata simile a “utilizzare gli stessi titoli dei libri, gli stessi inizi per ciascun capitolo e paragrafo”, e al ricreare “le stesse connessioni fra i personaggi”.  In parole povere, un plagio quasi completo.

 

 

Gli avvocati di Google, invece, hanno sottolineato come le Api impiegate per Android fossero state concepite dal loro creatore, Sun Microsystems, per un libero riutilizzo. A detta di Oracle, al contrario, i dirigenti di Sun (acquistata nel 2010 dall’azienda di Santa Clara) sarebbero stati essi stessi convinti della violazione di copyringht pur non avendo volute intraprendere un’azione legale contro Google. Eppure un ex amministratore delegato di Sun Microsystems, Jonathan Schwartz, in qualità di testimone della difesa ha detto tutt’altro. Con similitudine non meno colorita di quella harrypottiana,

ha paragonato le Api a degli hamburger: questo piatto compare nel menu di moltissimi ristorante in giro per il mondo, ma ognuno ha la sua ricetta. Similmente, a suo dire, le interfacce di programmazione di Android sono state sviluppate e personalizzate nel tempo, diventando di fatto una proprietà di Google. La palla passa ora alla giuria, con la speranza che la decisione dipenda da valutazioni tecniche e non da metafore più o meno riuscite.

 

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