23/01/2016 di Redazione

I robot usurperanno 5 milioni di posti di lavoro entro il 2020

Un report diffuso dal World Economic Forum stima che i progressi dell’automazione e dell’intelligenza artificiale creeranno un processo di sostituzione uomo-macchina in molti lavori manuali, ma anche impiegatizi. Ma la tecnologia aiuterà anche nuove profe

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Chi ha paura dei robot? L’ultima edizione del World Economic Forum di Davos ci ha detto che farebbero bene ad averne timore cinque milioni di lavoratori, per lo più “colletti bianchi” e addetti a lavori manuali, che da qui al 2020 rischiano di diventare una spesa superflua, facilmente eliminabile grazie a tecnologie robotiche, umanoidi o meno che siano, dotate di sensori, intelligenza artificiale e capacità mnemonica. La “prima ondata” dei robot, come noto, ha invaso soprattutto le fabbriche, automatizzando le catene di montaggio e portando via occupazione alla categoria degli operai. La seconda ondata, invece, avrà impatti su professioni impiegatizie, di contabilità e del settore finanziario.

La previsione emerge dall’indagine "The future of jobs", condotta dal Wef intervistandi i top manager delle 350 maggiori società al mondo. E se cinque milioni possono sembrare tanti, la previsione appare quasi cautelativa quando si considera che oggi oltre tre miliardi di abitanti del Pianeta rientrano – per anagrafica e altre variabili – sotto l’etichetta di lavoratori. Si tratta, comunque, dell’inizio di un percorso influenzato non solo dalla robotica ma anche da altre tecnologie che il Wef considera come “dirompenti”: la mobility e il cloud, l’analisi dei Big Data, l’Internet delle cose, le energie alternative, le biotecnologie e le scienze dei materiali.

 

I driver tecnologici del cambiamento nell'occupazione da qui al 2020

 

Le macchine dotate di “sensi potenziati, destrezza e intelligenza”, si legge nel report, “possono svolgere in modo più pratico rispetto al lavoro umano attività nell’ambito della manifattura o mansioni di pulizia e manutenzione. Inoltre, è ora possibile creare automobili, mezzi pesanti, aerei e navi completamente o parzialmente autonomi e questo, se la legislazione lo permetterà, forse già nel 2020 potrà rivoluzionare il mondo dei trasporti”. Spostandosi invece verso i lavori di intelletto, lo studio sottolinea che “i progressi nell’intelligenza artificale, nell’apprendimento automatico e nelle interfacce basate su interazioni naturali, come il riconoscimento vocale, permetteranno di automatizzare attività di intelletto”. Attività che, fino a ieri, si credeva fosse impossibile affidare a delle macchine.

C’è comunque una buona notizia, che ammortizza almeno in parte il rischio di nuova disoccupazione generata dal progresso tecnologico. Questo stesso progresso creerà una inedita domanda di professioni “future”: l’indagine stima che il 65% dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari finiranno a svolgere lavori che oggi ancora non esistono. Non dobbiamo stupirci di fronte a previsioni come questa, dopo che il fenomeno (non certo esaurito) dell’esplosione dei dati ha fatto nascere e ha reso richiestissima la figura del data scientist. C’è un modo per cautelarsi, se non per prepararsi al meglio, di fronte a questo scenario?

La peggiore delle ipotesi, secondo il fondatore del Wef, Klaus Schwab, e il membro del board Richard Samans, è che al cambiamento tecnologico si accompagnino maggiore disuguaglianza sociale, disoccupazione di massa e – per contro – carenza di professionalità in specifiche aree. Per evitare tutto questo, spiegano Schwab e Samans, sarà cruciale che i lavoratori di oggi migliorino e aggiornino le proprie competenze alla luce dei trend tecnologici.

 

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