03/07/2019 di Redazione

Intelligenza artificiale, blockchain, IoT: italiani senza bussola

Stando a un sondaggio online svolto da YouGov per Vmware, sei italiani su dieci vorrebbero ricevere da aziende o soggetti pubblici maggiori informazioni e orientamento sulle tecnologie di maggiore impatto.

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In Italia siamo pronti ad accogliere innovazioni come l’Intelligenza Artificiale, la blockchain e le applicazioni basate sull’Internet of Things, oppure siamo ancora perplessi e confusi? Un po’ e un po’. La voglia di adottare queste tecnologie nella vita personale, nel lavoro e in società è piuttosto diffusa: un sondaggio condotto da YouGov per conto di Vmware su un migliaio di cittadini maggiorenni (1.030 per la precisione, intervistati tramite Web nel mese di maggio) ha svelato che il 62% di loro riconosce alle innovazioni tecnologiche una capacità di fare del bene, in molti settori. 

 

La percentuale è una media, perché il riconoscimento dei benefici varia a seconda dei campi di applicazione. Il 67% degli intervistati crede che il digitale abbia migliorato la customer experience nei rapporti con aziende, banche, rivenditori e anche con il sistema sanitario, mentre solo poco più della metà (53%) pensano di essere diventati più produttivi nel lavoro grazie ai dispositivi mobili, e meno della metà del campione (il 48%) pensa di aver avere più tempo libero nelle proprie giornate. Decisamente più alta, 85%, è la percentuale di coloro che hanno detto di avere fiducia nel potere della tecnologia di assistere i più anziani. Solo per il 56%, invece, ci saranno impatti positivi su questioni ambientali come il cambiamento climatico.

 

Al netto di queste variazioni di giudizio, sullo sfondo si staglia una domanda: la semplice adozione o l’imposizione delle tecnologie può rappresentare di per sé un bene, o abbiamo bisogno di una guida? Stando al sondaggio di YouGov, per sei italiani su dieci le aziende dovrebbero assumersi l’impegno di aiutare i consumatori a capire meglio le tecnologie, e per quasi altrettanti (57%) questo ruolo spetterebbe anche o in alternativa al settore pubblico. Non pochi, il 65%, pensano inoltre che le aziende o lo Stato non siano abbastanza trasparenti nel comunicare quali tecnologie usano e come le usano.

 

La mancanza di informazioni e di chiarezza, va da sé, può generare diffidenza. E infatti il 62% degli intervistati ha ammesso di non sapere chi abbia accesso ai suoi dati personali. Il 55% si è detto a disagio o preoccupato di fronte all’idea che la propria banca apprenda informazioni che lo riguardano (su abitudini di spesa, alimentazione, viaggi e spostamenti) e il 70% non sarebbe tranquillo se un’operazione chirurgica fosse affidata a un robot anziché a un medico. Pur salvaguardando il diritto alla soggettività del giudizio, è vero che la scarsa informazione non aiuta a superare le paure, giustificate o meno che siano. Quasi quattro persone su dieci (39%) hanno ammesso di saperne poco in merito a Internet of Things, blockchain e AI. E tre su dieci fanno confusione tra robotica e intelligenza artificiale, sovrapponendo le due cose. “Le aziende e i governi devono offrire al grande pubblico maggiori informazioni sui vantaggi e sulle sfide che le nuove tecnologie presentano, in modo che possano imparare e adattarsi ai nuovi ruoli che queste abiliteranno”, ha commentato Joe Baguley, chief technology officer Emea di Vmware.

 

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