17/10/2025 di redazione

Ci fidiamo di più dei chatbot se possiamo parlarci, anziché scrivere

Uno studio condotto dalla London School of Economics and Political Science e da Jabra mostra i risvolti psicologici dell’interazione vocale con i servizi di AI generativa.

Con l’intelligenza artificiale generativa è meglio parlare o comunicare in forma scritta? Può dipendere dallo scopo per cui interroghiamo un chatbot, dal momento, dall’occasione o dalle preferenze personali. Certamente l’interazione vocale e quella scritta non sono la stessa cosa dal punto di vista comunicativo, e presentano anche differenti risvolti psicologici. Un nuovo studio firmato da Jabra e dalla London School of Economics and Political Science prefigura per i prossimi anni una sempre maggiore affermazione della “modalità voce” nelle interfacce software, anche quelle dell’AI generativa come i chatbot.

La ricerca è stata condotta dal Behavioural Lab for Teaching and Research della London School of Economics and Political Science su un campione di 171 professionisti. A loro è stato assegnato in modo casuale il compito di svolgere diverse attività lavorative usando o la scrittura o i comandi vocali o una combinazione delle due cose. I risultati dell’espertimento sono valutati con parametri della scienza comportamentale, misurando prestazioni, carico cognitivo, fiducia e preferenza.

In generale, l’interazione scritta è ancora il metodo preferito dalla stragrande maggioranza, mentre quella vocale è prediletta solo dal 14% del campione. Peraltro, la preferenza può dipendere anche dagli obiettivi dell’utente. I partecipanti hanno osservato che l'interazione vocale era ideale per domande rapide e per ottenere risposte altrettanto veloci, oltre che per la generazione di idee (cioè per usare l’AI come strumento di brainstorming). Nei compiti che richiedevano persuasione, invece, le prestazioni sono diminuite di quasi il 20% quando è stata usata l’interazione vocale.

Un’altra variabile è quella generazionale. Tendenzialmente, i professionisti senior sono più spesso più propensi a utilizzare la voce per le attività lavorative, dopo averci preso confidenza. Di contro, i giovani della Generazione Z, pur usando interfacce vocali come quelle di Siri e Alexa nella loro vita privata, sono meno propensi a utilizzarle sul lavoro.

A detta degli autori dello studio, comunque, il dato del 14% di preferenza per il canale voce (se confrontato con le curve di adozione tecnologica consolidate) indicherebbe che siamo a un “punto di svolta”, già oltre la fase di early adoption. Per un utilizzo mainstream dell’interazione vocale con l’AI generativa dovremo aspettare il 2028. 

Il dato più interessante è però, forse, un altro: la fiducia nei confronti dell'AI è aumentata del 33% quando i partecipanti hanno interagito tramite voce. Molti hanno riferito che parlare con l’AI generativa li ha fatti sentire “più connessi” alla tecnologia con cui stavano interagendo.

“I dati sono in linea con quanto previsto da molti amministratori delegati e esperti di tecnologia”, ha commentato Michael Muthukrishna, docente di Psicologia economica della London School of Economics and Political Science. “Il passaggio al conversational computing, ambito in cui parlare e ascoltare sono attività che iniziano a integrare o addirittura a sostituire la digitazione e la lettura. Il futuro non sarà plasmato da un’unica AI, valida per tutto. Sarà invece definito da un team di sistemi specializzati, tutti coordinati attraverso un'unica interfaccia in grado di comprendere al meglio”.

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