10/05/2023 di Redazione

Intelligenza artificiale, un bene o un male per il mondo del lavoro?

Un nuovo studio dell’Università di Zurigo evidenzia le aree professionali in cui l’AI potrà sostituire le persone. Microsoft, invece, rassicura: sarà un supporto alla creatività.

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L’intelligenza artificiale e in particolare l’AI generativa sarà più un alleato o una forza distruttrice nel mondo del lavoro? Dipende, naturalmente, dal punto di vista: è ragionevole pensare che per imprenditori e datori di lavoro sarà utile per ottenere nuove efficienze e taglio dei costi, mentre per alcune categorie di professionisti oggi rappresenta una minaccia, se non altro potenziale. Ma fino a che punto questo è vero, e quanto è un luogo comune? Alcuni numeri e previsioni, frutto di ricerche di mercato e opinioni degli analisti, ci dicono qualcosa in più.

Goldman Sachs ha previsto, in un recente studio, che l’AI generativa potrà sostituire nel giro di qualche anno circa 300 milioni di professionisti in carne e ossa e che avrà, quindi, un impatto negativo sull’occupazione almeno nel breve termine. Secondo gli analisti, nelle professioni amministrative verrà automatizzato il 46% delle attività, in quelle di ambito legale il 44%, nell’architettura e nell’ingegneria il 37%. 


L’osservatorio del mercato del lavoro Amosa dell'Università di Zurigo, invece, in uno studio appena pubblicato evidenzia che le applicazioni di intelligenza artificiale colonizzeranno soprattutto gli ambiti del marketing, della distribuzione, della vendita al dettaglio, del commercio e della produzione industriale, basati in buona parte su attività di routine. L'intelligenza artificiale potrebbe essere sempre più utilizzata nel marketing”, ha commentato Katharina Degen, responsabile dello Swiss Job Market Monitor di Amosa, “ad esempio per il riconoscimento dei modelli comportamentali e delle esigenze della clientela e la relativa personalizzazione della pubblicità”.


Dinamiche in realtà non nuovissime, già molto osservate nel campo dell’e-commerce prima e dell’omnicanalità poi, ma che probabilmente troveranno ulteriori sviluppi. Nel citato report di Amosa si sottolinea una ovvietà, ma un’ovvietà importante: possedere le giuste competenze digitali in futuro sarà sempre più essenziale per restare nel mercato del lavoro. Oggi esistono ancora lacune nelle competenze digitale e non solo tra i professionisti “senior” ma anche tra anche tra persone altamente qualificate o specialisti del settore del marketing. 


L’AI per ridurre il “debito digitale”
Un punto di vista meno fosco (ma non potrebbe essere altrimenti) è quello di Microsoft, uno tra i colossi tecnologici attualmente più impegnato a spingere sul pedale dell’acceleratore dell’intelligenza artificiale. Dopo l’investimento miliardario in OpenAI, la startup da cui è nato ChatGPT, Microsoft ha cominciato a integrare il suo large language model all’interno dei propri prodotti e servizi, dal motore di ricerca Bing a Office, da Teams al cloud di Azure.

La terza edizione dello studio “Work Trend Index”, sottotitolata “Will AI fix work?” (e basata su 31mila interviste a lavoratori di 31 Paesi e su statistiche di LinkedIn), evidenzia non tanto le minacce quanto le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, che nei contesti di lavoro può aumentare la produttività, farsi carico delle attività ripetitive e anche stimolare la creatività. “Questa nuova generazione di Intelligenza Artificiale eliminerà monotonia del lavoro e libererà la creatività", ha dichiarato Satya Nadella, presidente e amministratore delegato di Microsoft. "C'è un'enorme opportunità affinché gli strumenti basati sull'AI siano in grado di contribuire ad alleviare il cosiddetto ‘debito digitale’, costruire un’attitudine positiva verso l'AI e creare possibilità per i dipendenti".

Per “debito digitale” Microsoft intende un meccanismo che molti professionisti conoscono, specie chi lavora seduto a una scrivania: il continuo flusso di dati, messaggi, email, telefonate, riunioni e notifiche ci sommerge, tant’è che è difficile processare e smaltire tutte queste attività senza accumulare arretrati. Con lo smart working, nel dopo pandemia, il debito digitale se possibile si è accentuato. Dalle interviste è risultato che il 64% dei professionisti fatica a trovare il tempo e l'energia necessari per svolgere il proprio lavoro e per dedicarsi a innovazione, creatività, strategie; il 68% non riesce a concentrarsi durante la giornata lavorativa; il 62% deve dedicare troppo tempo alla ricerca di informazioni. 


Qualche preoccupazione sull’intelligenza artificiale esiste, ma non è poi così diffusa ed è in parte bilanciata da curiosità e interesse. Il 49% dei dipendenti intervistati (percentuale che scende a 42% in Italia) teme di poter essere sostituito dall’AI in futuro, ma c’è anche un 62% che vorrebbe sfruttarla per delegare parte delle proprie attività e ridurre, così, il proprio carico. In particolare, si vorrebbe usare l’AI per attività amministrative (67% degli intervistati italiani), di analisi (68%) e anche per qualche compito più creativo (55%).

 

Principali benefici ricercati dai datori di lavoro tramite l'uso dell'AI in azienda; fonte: Microsoft, "Work Trend Index", maggio 2023


 

Solo il 16% dei leader aziendali (e solo il 12% degli italiani) vorrebbe usare l’intelligenza artificiale per ridurre il numero dei collaboratori: una percentuale bassa, ma non irrisoria, che forse non cancella del tutto le preoccupazioni dei lavoratori. Prevalgono, tra le finalità d’uso di maggiore interesse, la possibilità di usare l’AI per aumentare la produttività (31%), per aiutare i dipendenti nelle attività di routing (29%), per migliorare il loro benessere (26%) , per potenziare le loro capacità (24%) e produttività (24%).

 

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