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La Corte di Giustizia Ue si oppone alla sorveglianza made in Uk

Per i giudici l’Investigatory Powers Act approvato a novembre “non può essere giustificato all’interno di una società democratica”. La norma darebbe un potere sconfinato alle autorità del Regno, che tra le altre cose potrebbero obbligare in modo indiscriminato i service provider a conservare per un anno i dati di navigazione dei cittadini.

Pubblicato il 22 dicembre 2016 da Alessandro Andriolo

L’Unione Europea striglia (finché può) il Regno Unito. Ieri la Corte di Giustizia della Ue ha di fatto smontato l’Investigatory Powers Act, il controverso disegno di legge approvato dal parlamento britannico a novembre che obbliga i service provider a conservare fino a un anno tutti i dati di navigazione degli utenti, rendendoli accessibili a decine di autorità pubbliche. Senza contare l’espansione indiscriminata dei poteri delle forze dell’ordine in campo informatico, le quali potrebbero anche eseguire hackeraggi di massa e imporre la rimozione della crittografia end-to-end. Una serie di norme definita subito dai commentatori come la più severa legge sulla sorveglianza di massa mai approvata in un Paese democratico. Ebbene, la Corte di Giustizia ha scelto di alzare la voce nei confronti del governo conservatore di Theresa May, dichiarando che “gli Stati membri non possono imporre obblighi generali di conservazione dei dati”.

A detta di Londra lo scopo primario dell’Investigatory Powers Act, ribattezzato anche “Ip bill”, era quello di combattere meglio il crimine e in particolare il terrorismo, che ormai si avvale sempre più dei mezzi di comunicazione digitali soprattutto per attività di proselitismo e di coordinamento tra le varie cellule infiltrate anche in Europa.

Ma, ha scritto la Corte, “la legge Ue preclude una generale e indiscriminata conservazione di dati di traffico e di localizzazione, anche se è aperta al fatto che gli Stati membri possano disporre, come misura preventiva, di un mantenimento mirato delle informazioni soltanto per affrontare minacce concrete”, limitandosi quindi ad azioni “strettamene necessarie”. I giudici hanno inoltre aggiunto che “l’accesso da parte delle autorità nazionali ai dati conservati deve essere soggetto a certe condizioni, inclusa una revisione preventiva di un’autorità indipendente”.

 

Il palazzo della Corte di Giustizia europea, a Lussemburgo

 

Tutte le informazioni dovranno obbligatoriamente essere archiviate all’interno del territorio europeo. Le forze dell’ordine non potranno di fatto affidarsi a service provider che non dispongono di data center dislocati nel Vecchio Continente. Le parole della Corte sono abbastanza pesanti soprattutto nel passaggio seguente: “Questa legge […] non può essere giustificata all’interno di una società democratica”.

Non è chiaro però se il parere dei giudici possa ora essere sfruttato dagli oppositori della May per ribaltare la legge. Sembra che il governo abbia intenzione di appellare la decisione, ma sullo sfondo incombe comunque la Brexit: è possibile che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione faccia decadere in automatico qualsiasi imposizione comunitaria. Tutto dipenderà dai termini che verranno concordati per l’abbandono del Paese.

L’Home Office, il ministero degli affari interni dell’Uk, ha detto di essere “deluso” dalla decisione della corte lussemburghese, ma metterà di fronte ai giudici “argomenti robusti” in caso di appello. Scatenate ovviamente le opposizioni. “La maggior parte di noi può accettare che la privacy venga compromessa occasionalmente per garantire la sicurezza, ma nessuno darebbe alla polizia o al governo il potere di impadronirsi arbitrariamente di tabulati telefonici o email per farglieli utilizzare a loro piacimento”, ha commentato Tom Watson, numero due del Labour Party britannico.

 

Tag: mercati, unione europea, regno unito, sorveglianza, corte di giustizia europea, Investigatory Powers Act

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