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La Francia adotta la web tax, la Casa Bianca prepara il contrattacco

Il Senato francese ha approvato la legge nazionale che imporrà un’aliquota del 3% sul fatturato delle grandi imprese di servizi digitali. L’ufficio di Donald Trump ha preannunciato una “reazione proporzionata”.

Pubblicato il 12 luglio 2019 da Valentina Bernocco

Anche la Francia, come l’Italia, avrà la propria web tax nazionale: ieri in Senato è passata la proposta di una legge che tasserà al 3% i profitti ricavati Oltralpe dalle società tecnologiche di grandi dimensioni (oltre 750 milioni di euro di fatturato nel mondo, di cui almeno 25 milioni di euro ottenuti nel mercato transalpino) che fanno profitti dalla vendita di servizi digitali e advertising. Come Apple, Google, Amazon, Facebook, Netflix, Microsoft. A Parigi ieri si è scelto di seguire l’esempio dell’Italia, che nella Legge di Bilancio 2019 prevede, similmente, un’aliquota del 3%. 

Nel caso della Francia, il ministero delle Finanze ha stimato un recupero di oltre 400 milioni di euro all’anno, grazie a trattenute fiscali finalmente più adeguate agli enormi profitti delle società in oggetto. D’altra parte il tema non è certo nuovo, essendosi susseguite negli anni in vari Paesi europei indagini sulla correttezza dei versamenti fiscali di alcune grandi società tecnologiche. In Francia a fine 2018 Apple ha patteggiato il pagamento di una multa da 500 milioni di euro, ma il precedente più clamoroso sono i 13 miliardi di euro  richiesti alla Mela nel 2016 dalla Commissione Europea per i mancati versamenti al fisco irlandese (Apple accettò di pagarli a oltre un anno di distanza). Caso clamoroso sia per la cifra sia perché l’Irlanda, anziché pretendere di riscuotere, aveva spalleggiato Apple pur di non perdere benefici di occupazione e indotto.

 

Nella discussione politica e mediatica sulla web tax i nomi sotto ai riflettori sono tutti statunitensi, ma in realtà la nuova misura fiscale si applicherà indipendentemente dalla nazionalità dell’azienda, purché essa derivi almeno 25 milioni di euro all’anno dai servizi digitali erogati in Francia. Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, ha voluto sottolineare l’assenza di un qualsiasi accanimento verso i giganti statunitensi, dato che saranno colpite dalla tassa anche società francesi come Critero, e poi cinesi, britanniche, tedesche.

 

A Washington, però, non l’hanno presa bene. Ieri, in vista della votazione di Parigi, l’ufficio presidenziale ha avviato un’indagine tesa a verificare se la tassa possa essere “discriminatoria o irragionevole, e se danneggi o limiti il commercio degli Stati Uniti”, ha spiegato il Rappresentante al Commercio, Robert Lighthizer. Un mese fa, durante un incontro con una commissione parlamentare, Lighthizer aveva già invocato la necessità di una “azione forte” degli Stati Uniti nei confronti delle nuove tasse europee. 

 

Il Rappresentante al Commercio degli Stati Uniti, Robert Lighthizer

 

Ora il Rappresentante al Commercio avrà un anno di tempo per esaminare se la legge francese danneggi le società americane. La sua indagine è stata informalmente battezzata “301 investigation” in riferimento alla sezione 301 del Trade Act del 1974, che permette al presidente Usa di colpire con misure fiscali le nazioni che danneggiano gli Stati Uniti sul piano commerciale. È grazie a questo passaggio del Trade Act se Donald Trump ha potuto alzare al 25% i dazi sulle importazioni cinesi. Ora ci si augura che non debba accadere lo stesso per la Francia o magari per l’Italia o per le nazioni che decideranno di adottare una web tax nazionale ricalcata sullo stesso modello. Piuttosto, è auspicabile che sulla tassazione delle società di servizi digitali si definisca una soluzione condivisa e valida internazionalmente, come sta cercando di fare l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

 

Tag: servizi, europa, Usa, tasse, francia, donald trump, web tax

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