21/08/2018 di Redazione

Privacy, un cittadino “tradito” trascina Google in tribunale

Un utente californiano ha denunciato Big G per aver continuato a tracciare i suoi movimenti anche con la geolocalizzazione disattivata: un comportamento di app e servizi di Mountain View svelato pochi giorni fa da un’inchiesta di Associated Press.

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E ora Google finisce in tribunale per la vicenda del tracciamento della posizione degli utenti. Un cittadino californiano, Napoleon Patacsil, ha deciso di denunciare Big G per aver violato diverse leggi sulla privacy dello Stato. Pochi giorni fa un’inchiesta di Associated Press e dei ricercatori dell’Università di Princeton aveva svelato come il colosso di Mountain View fosse capace di rilevare la posizione geografica delle persone, tramite smartphone e tablet, anche quando gli utenti avevano negato il consenso. Diversi servizi e applicazioni, come ad esempio Google Maps, si avvalgono dei dati del Gps e di altre informazioni ricavate dai dispositivi elettronici per la geolocalizzazione, allo scopo di garantire una corretta navigazione o per suggerire ristoranti e attività vicini agli utenti. Solitamente, per poter utilizzare questi dati, al primo avvio i software chiedono il consenso al proprietario del device.

Ma, anche una volta attivato il tracciamento, è possibile spegnerlo in qualsiasi momento, come si legge sulle pagine di supporto di Google. Il problema è che, secondo l’Ap e i ricercatori di Princeton, Big G salva la cronologia dei luoghi visitati anche quando la funzionalità di localizzazione è disattivata.

“Per esempio, Google conserva un’istantanea di dove vi trovate non appena si apre l’applicazione Maps”, ha scritto l’Associated Press. “Gli aggiornamenti automatici del meteo sui telefoni Android definiscono vagamente dove siete. Così come quando si effettuano ricerche che nulla hanno a che fare con l’ubicazione, come ‘biscotti al cioccolato’ o ‘giochi scientifici per ragazzi’”. Secondo l’inchiesta, il calcolo di latitudine e longitudine è estremamente accurato, nell’ordine di un decimo di metro quadrato.

Il problema non riguarderebbe soltanto gli utilizzatori di dispositivi Android, ma anche i terminali iOs che presentano applicazioni e servizi sviluppati da Google (come le onnipresenti Mappe). La società di Mountain View ha spiegato come esistano “diversi modi con cui possiamo utilizzare i dati di localizzazione per migliorare l’esperienza utente: cronologia dei luoghi, attività Web e delle app e tramite servizi a livello di device. Forniamo descrizioni accurate di questi strumenti, oltre a robusti controlli per consentire alle persone di attivarli o disattivarli e di cancellare in ogni momento la cronologia”.

Una spiegazione che, però, non ha soddisfatto tutti. Jonathan Mayer, computer scientist di Princeton, non ha usato giri di parole: “Se consenti ai consumatori di spegnere una cosa chiamata ‘cronologia delle posizioni’, allora ci si dovrebbe aspettare quanto promesso. È semplice”. Ecco perché il cittadino californiano ha deciso di denunciare Google: la descrizione delle opzioni sul piatto, come spesso succede con i colossi tecnologici, diverge poi dalla realtà.

Per bloccare definitivamente la registrazione di questi dati, infatti, è necessario disattivare un’altra voce che apparentemente non ha nulla a che vedere con la geolocalizzazione. Si tratta di “Web & App activity”, una funzionalità che prosegue imperterrita a rilevare informazioni anche quando la cronologia è spenta. Il tribunale dovrà ora decidere se Big G abbia effettivamente avuto un comportamento ambiguo, oppure se le spiegazioni fornite sulle pagine di assistenza siano sufficienti per informare in modo appropriato i consumatori.

 

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