Oggi l’It deve risolvere problemi complessi, rendendo più rapido il decision making e più accattivante l’esperienza dei clienti, ma anche lavorando in un ambiente sicuro. Tutto questo va realizzato con budget controllati, sviluppando soluzioni in modo rapido, ottenendo effetti di scalabilità, integrandosi in ecosistemi.
Questa visione sintetizza il piano di sviluppo di Red Hat ed è stata per questo fatta propria da Gianni Anguilletti, vicepresidente dell’area Mediterraneo della società: “Oggi offriamo uno stack costruito su quattro pillare fondamentali, ovvero un framework per lo sviluppo di applicazioni moderne, strumenti per costruire piattaforme ibride e aperte, il monitoraggio costante di infrastrutture e applicazioni e, infine, la possibilità di far fruire i servizi ai clienti in tutte le modalità disponibili sul mercato”.
Anche gli annunci fatti al Summit dello scorso maggio hanno chiarito quanto l’azienda voglia stare al passo con i tempi, ma anche dare una propria risposta non solo alle sfide tecnologiche poste dall’evoluzione dello scenario, su tutte l’Ai generativa, ma anche a problematiche concrete, come l’affidabilità della supply chain, l’edge computing e lo skill gap: “Noi oggi siamo già interpretati molto più come trusted advisor che non come puri fornitori”, ha rimarcato Rodolfo Falcone, country manager di Red Hat Italia. “Siamo presenti in tutti i settori di mercato più importanti, oggi in particolare nella Pa, che èil vero motore della crescita del Paese grazie alla spinta del Pnrr. In prospettiva. Sarà l’intelligenza artificiale a guidare i progetti, ma da noi il vero boom ancora deve arrivare”.
Gianni Anguilleti vicepresidente Med Region) e Giorgio Galli (manager sales specialist Italy) di Red Hat
Diversi sono i clienti che possono testimoniare di aver lavorato per la propria trasformazione anche con Red Hat, a cominciare da Istat e dal proprio private cloud e dai progetti di containerizzazione di Italgas. Ma si possono citare anche gli sviluppi cloud native di Crif su architetture a microservizi e la modernizzazione applicativa di Conad Nord Ovest.
A tenere banco nelle ultime settimane, tuttavia, è stata la decisione di Red Har di non rendere più accessibile il codice sorgente del proprio Linux Rhel senza sottoscrizione di una licenza e anche di non voler più aggiornare i repository che permettevano di tenere al passo le distribuzioni derivate da Rhel, tra queste anche Oracle Linux. Va notato che la stessa Red Hat ha cerato un clone del proprio sistema operativo, oggi evoluto in CentOs Stream. Questo è sempre stato e continuerà a rimanere un ambiente gratuito, ma si tratta, di fatto, di una sorta di versione beta perpetua, perché si fonda su una moltitudine di progetti in corso di sviluppo, mettendo quindi a fattor comune il debugging delle funzioni che poi saranno integrate nelle future versioni di Rhel. Ma non ci sarà più alcun modo di potersene servire in produzione. La precedente versione CentOs 7, oggi ancora più utilizzata di Rhel, andrà a fine ciclo nel 2024 e il costruttore non andrà oltre in termini di aggiornamenti e patch.
Red Hat ha spiegato di aver voluto fare questa mossa per proteggere il proprio lavoro e gli sforzi profusi su Rhel, chiedendo a chi vi si è sempre appoggiato di pagare per poterne approfittare. Dall’altra parte, sono piovute numerose accuse di tradimento ai principi fondanti dell’open source, fatti soprattutto di condivisione e compartecipazione: “CentOs resta la vera base tecnologica per portare innovazione”, ha spiegato Giorgio Galli, manager sales specialist & solution architect team di Red Hat Italia. “Semplicemente, oggi non si può più prendere l’ultima release di Rhel, ricompilarla e ricavarne una propria distribuzione- A monte dell’industrializzazione del nostro sistema operativo, non cambia nulla, ma non riteniamo giusto che qualcun altro benefici gratuitamente del nostro lavoro di test e stabilizzazione”.
La posizione di Red Hat è di per sé comprensibile, ma resta il dubbio che sia compatibile con i principi della licenza Gpl alla base originaria di Linux (che nasce come sistema aperto per definizione, come voluto dal suo creatore Linus Torvalds) e con quanto consolidatosi nel tempo all’interno della community di sviluppatori. Di certo, non cambierà nulla per i clienti finali, che già pagavano la licenza e i servizi di Rhel, mentre dovranno adeguarsi i vendor che fin qui hanno lavorato sulla base delle versioni finali dell’ambiente operativo per i propri sviluppi. Se questo farà più gioco o danni al futuro di Red Hat o dell’idea stessa di open source sarà il tempo a dircelo.