20/10/2025 di redazione

Supply chain: abbattere i rischi con dati, automazione e monitoraggio

Gli attacchi che si insinuano nella catena di fornitura dell’informatica sono un fenomeno insidioso (nonostante la Nis2). La ricetta di Kyp per arginarlo.

Mai come negli ultimi anni il tema della supply chain è stato sotto ai riflettori. O meglio, delle supply chain. Se la catena di fornitura delle materie prime e dell’energia è stata protagonista delle cronache, riflettendo eventi di grande portata (dal Covid, alle guerre, ai dazi statunitensi), la filiera dell'informatica è questione di non secondaria importanza, perché da essa dipendono la sicurezza dei dati e anche la continuità operativa della aziende.

Di attacchi che intercettano uno o più anelli della catena di fornitura, generando effetti a cascata, abbiamo parlato con Marco Sartori, amministratore delegato di Kyp. Acronimo di Know Your Partner, l’azienda milanese è nata di recente e la sua promessa è di aiutare nella gestione dei rischi di supply chain e nella compliance.

Come è cambiato lo scenario della supply chain IT negli ultimi anni?

Dalla pandemia in poi la catena di fornitura IT è diventata più lunga, opaca e interdipendente. Il ricorso massivo a servizi esterni (cloud, SaaS, software open-source, logistica e assistenza offshore) ha aumentato l’esposizione a rischi “di filiera”, che non si fermano al primo fornitore ma coinvolgono subfornitori e dipendenze di quarto livello. Nel concreto vediamo soprattutto rischi cyber lungo la supply chain (compromissione del software/firmware, credenziali e accessi privilegiati di terze parti), rischi di continuità operativa (single point of failure, lock-in tecnologico, indisponibilità prolungata di servizi cloud), rischi legali e regolatori (legati a Nis2 e Dora, export control, trasferimenti dati), rischi finanziari e reputazionali del fornitore (frodi, insolvenze, contenziosi, Esg). L’elemento nuovo non è l’esistenza dei rischi, ma la loro combinazione e la propagazione a cascata.

L’affermazione diffusa di tecnologie come il cloud computing, l’IoT e l’intelligenza artificiale ha complicato o semplificato la gestione dei rischi di supply chain?

Queste tecnologie hanno semplificato alcuni aspetti, grazie a scalabilità, standardizzazione, telemetria centralizzata, aggiornamenti più rapidi, ma d’altro canto hanno anche ampliato la superficie d’attacco e la dipendenza da terze parti. Nel cloud cresce il rischio di concentrazione e di configurazioni errate; l’IoT introduce miliardi di endpoint eterogenei spesso difficili da aggiornare o inventariare; l’AI aggiunge nuove dipendenze (dataset, modelli, fornitori di API) e rischi non “tradizionali”, come data leakage, supply chain del modello e bias operativi. In sintesi: la tecnologia abilita efficienza, ma rende imprescindibile una governance strutturata. Senza strumenti e processi adeguati, la complessità supera i benefici.

Quali tecnologie, di contro, possono aiutare nella gestione dei rischi legati alla filiera dell’IT? 

A mio parere tre fattori fanno la differenza: dati, automazione, monitoraggio continuo. Servono piattaforme che combinino fonti pubbliche e proprietarie per costruire profili di rischio dinamici del fornitore; integrazioni con procurement, legal e sicurezza per innescare controlli by design; telemetria che aggiorni gli indicatori senza attendere il prossimo audit. In pratica: inventory e mappatura relazionale dei fornitori e subfornitori, scoring continuo (cyber, finanziario, legale, reputazionale, Esg), verifica documentale automatizzata (certificazioni, polizze, SLA, clausole contrattuali), signal-based alerting (data breach, sanzioni, eventi negativi), sicurezza del software, flussi di remediation con priorità basate sul rischio. È l’approccio che adottiamo in Kyp: meno questionari statici, più evidenze oggettive e segnali real-time.

Marco Sartori, amministratore delegato di Kyp

Marco Sartori, amministratore delegato di Kyp

In base al vostro punto di osservazione sul mercato, quali sono i principali punti di debolezza nelle aziende italiane?

Il primo tallone d’Achille è la visibilità: molte realtà non dispongono di una mappa completa dei fornitori IT critici né della loro catena a valle. Secondo, le valutazioni sono spesso one-shot in fase contrattuale e non continuative. Terzo, persistono distanze tra l’IT, il procurement, l’area legale e compliance e la sicurezza: il rischio di fornitura non ha un owner unico e i criteri non sono allineati. I settori più esposti che osserviamo sono Pubblica Amministrazione e sanità (caratterizzati da numerosi fornitori, budget e tempi stretti), manifattura e utility (rischi legati a OT e IoT e all’interconnessione con la supply chain fisica) e i servizi finanziari e assicurativi (per obblighi regolatori e terze parti critiche). I processi più impattati sono quelli di cybersecurity (identity/access per terze parti, gestione vulnerabilità), il procurement (valutazione e rinnovi) la contrattualistica (SLA, clausole Nis2 e Dora, audit rights) e la business continuity.

Gli obblighi previsti dalla direttiva Nis2 hanno prodotto o stanno producendo dei miglioramenti nella cosiddetta “postura di sicurezza” delle aziende, specie in riferimento alle supply chain IT?

Sì, Nis2 è un acceleratore: ha spostato l’attenzione dalla sola sicurezza interna alla responsabilità verso fornitori e subfornitori, introducendo requisiti di governance, controlli basati sul rischio, gestione incidenti e sanzioni più incisive. Di riflesso vediamo un aumento deciso di richieste di due diligence, clausole contrattuali più robuste, audit rights e monitoraggio documentale. La maturità però è disomogenea: le organizzazioni che sono entità “essenziali” o “importanti” stanno adeguandosi più rapidamente, mentre molte Pmi dell’ecosistema si stanno muovendo ora. L’effetto più tangibile è la standardizzazione di pratiche minime: valutazioni periodiche, tracciabilità decisionale, piani di remediation e l’adozione di piattaforme che misurano e documentano il rischio di terze parti in modo continuativo.

Che cosa distingue la vostra offerta da quella di vendor concorrenti?

Kyp nasce per dare visibilità operativa e misurabile sulla filiera IT con focus sull'affidabilità legale e fiscale: dalla qualifica iniziale del fornitore al monitoraggio continuo. Combiniamo fonti pubbliche, database proprietari e integrazioni per generare un profilo dinamico del rischio, sintetizzato in uno score oggettivo (Enhanced Shell Score) e in indicatori di diversa natura. La nostra soluzione si distingue per tre elementi chiave. Il primo è il continuous risk sensing, un sistema che rileva in tempo reale eventi critici (come contenziosi, sanzioni, cambi di governance o segnali finanziari) e li ordina in base alla loro rilevanza per il business. Il secondo è l’automazione documentale e contrattuale, che semplifica la raccolta e la verifica delle certificazioni, riducendo tempi e complessità. Infine, il modello è accessibile e scalabile: funziona in modalità pay-per-use con pacchetti a crediti, adatti tanto al singolo fornitore quanto a catene articolate, e pensati anche per Pmi e studi professionali. La piattaforma è già predisposta per API e integrazioni, così da inserirsi facilmente negli strumenti esistenti. In breve, Kyp non si limita a “fotografare” il rischio: lo monitora, lo spiega e lo rende gestibile, collegando ogni segnale a un’azione concreta (contrattuale, tecnica o organizzativa) e ad una priorità di intervento. Questo è il nostro differenziale rispetto a soluzioni frammentate o solo consulenziali.

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